È davvero finito l’Olocene e siamo già entrati in una nuova era, quella che alcuni scienziati propongono di chiamare Antropocene, per i cambiamenti irreversibili imposti dagli uomini alla Terra? Ma qual è il reale impatto globale delle attività umane sul nostro Pianeta, e quali, invece, le leggende amplificate dai social media? Quando sarebbe iniziato tutto questo? E ancora, ha ragione chi sostiene che è solo colpa dell’Uomo o hanno ragione i negazionisti? C’è il rischio che la scienza parta da un’idea che deve essere per forza dimostrata?
Su queste domande, e su altri grandi temi, hanno dialogato il fotografo-ricercatore Armin Linke, attento osservatore del discorso attorno all’Antropocene, che segue trasversalmente perché gli permette di rappresentare, dunque immaginare, il futuro spazio in cui viviamo. A conversare con lui, il geologo Paolo Cortini, esperto di spedizioni naturalistiche, che da anni studia i luoghi in cui la Natura ha conservato buona parte dei suoi caratteri di grandiosità e primordialità, come l’Islanda.
Linke e Cortini sono stati guidati nella loro conversazione da Massimo Polidoro, esperto di fake news e autore di diversi libri sulle leggende metropolitane e le pseudoscienze. “Il rapporto tra scienza e fotografia – ha sottolineato Polidoro – è un rapporto molto antico. In passato gli scienziati erano anche artisti: esemplare in questo senso è la figura di Leonardo da Vinci”.
Polidoro ha offerto argomenti e spunti di riflessioni sulla società postindustriale e sul modo in cui la tecnologia ha saturato il nostro pianeta, ma anche sul diverso sguardo e la diversa sensibilità che guidano due osservatori così vicini e distanti nello stesso tempo, come un fotografo e un geologo.
Entrambi osservano la natura. Ma i tempi della geologia sono molto lunghi: la percezione del tempo del geologo è ragionare di milioni o miliardi di anni. Una prospettiva completamente diversa.
Come ha rilevato Cortini: “Il nostro tempo è pari a un battito di ciglia. Siamo sostanzialmente una novità. Siamo qui perché la Terra si sta concedendo una pausa. La Terra ci lascia la possibilità di farlo, di diffonderci in quasi ogni angolo del pianeta”.
Anche Linke ha spiegato il lavoro del fotografo da una nuova prospettiva: “La foto non è da intendere come momento incorniciato, ma può essere un metodo per iniziare un dialogo, mettere in dubbio la realtà che vediamo”.
L’incontro è partito dal nostro territorio grazie all’attore Igor Horvat che ha letto la poesia Pomeriggio di settembre di Alberto Nessi, tratta dalla raccolta Un sabato senza dolore (edizioni Interlinea) e dedicata alla storia del cementificio ex Saceba. L’impianto industriale trasformò profondamente il paesaggio a causa dell’attività estrattiva, prima a cielo aperto e successivamente nelle gallerie. Oggi lo stabile è parte integrante del Parco della Gole della Breggia – percorso del cemento.
Location
LAC Lugano Arte e Cultura
Data
16 maggio 2018
Rassegna stampa
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Interventi
LA FOTO È UN PRODOTTO DELLA STORIA INDUSTRIALE E SCIENTIFICA
Armin Linke, fotografo-ricercatore
Trovo interessante che in un museo d’arte ci sia l’occasione per porre delle domande sui punti di contatto con la scienza. Il rapporto tra fotografia e scienza è molto antico, nasce dallo sviluppo scientifico e anche chimico. Nella mia prospettiva, la fotografia può essere considerata non tanto un punto finale ma d’inizio: gli scienziati scelgono le immagini in base a quanto corrispondono ai loro pensieri. La fotografia diventa un metodo per iniziare un dialogo.
Credo che oggi il compito di un fotografo non sia tanto far vedere le conseguenze, ma cercare di capire il metodo di lavoro che adottano gli scienziati per documentare un fenomeno importante come il cambiamento climatico. Dobbiamo essere consapevoli che le rappresentazioni storiche cambiano di pari passo con le agende politiche ed economiche della nostra società. In questo senso, il ruolo dell’artista è cercare di capire come i vari tipi di rappresentazione sono interconnessi. Questo è fondamentale per progettare il nostro futuro.
AFFINITÀ E DIFFERENZE TRA SCIENZA E FOTOGRAFIA
Paolo Cortini, geologo
Il fotografo e il geologo osservano entrambi la natura. I tempi della geologia sono però molto lunghi: il geologo ragiona in milioni o miliardi di anni. Questo tipo di lavoro scientifico richiede due qualità: una grande capacità di osservare i colori e la morfologia del terreno; e la disponibilità a rivedere più volte, quotidianamente, le proprie convinzioni.
Oggi trovo che a volte si parta da un’idea che deve essere per forza dimostrata: è una conseguenza negativa di come si applica spesso la scienza all’ambiente. In realtà siamo alle prese con i paradossi dello sviluppo: l’impatto ambientale ha serie conseguenze non solo sulla natura, ma anche sulla popolazione, con l’appiattimento dei consumi e dei redditi e l’impoverimento culturale. D’altra parte, l’esigenza di identificare questa nuova era geologica come Antropocene mi sembra l’ennesimo tentativo di affrontare il rapporto tra l’uomo e il pianeta Terra: un problema molto importante, che non è solo geologico, ma anche filosofico.
ATTRAVERSO L’ARTE SI PUÒ RACCONTARE LA SCIENZA
Massimo Polidoro, giornalista e scrittore
L’arte è sempre stata importantissima nel raccontare la scienza, come dimostra la figura di Leonardo da Vinci. Anzi, possiamo dire che il connubio tra arte e scienza non è mai venuto meno.
Oggi col digitale si può creare qualunque cosa ma, a pensarci bene, è sempre stato così: non c’è mai stato un tempo “mitico” in cui la fotografia era onesta, pura e documentava la realtà in maniera sincera.
Apprezzo molto l’impegno di Fondazione IBSA nel mettere in comunicazione due mondi come l’arte e la scienza che solo apparentemente sembrano distanti e che in realtà, quando trovano un territorio comune, possono aprirci nuove dimensioni. Foto e video, con la loro immediatezza nel trasmettere un messaggio e una scoperta, sono strumenti imprescindibili per raccontare la scienza.
IL TEATRO PUÒ PORTARE LA SCIENZA AL GRANDE PUBBLICO
Igor Horvat, attore di teatro
Sono convinto che il teatro possa essere un ottimo linguaggio per parlare di scienza e anche un mezzo potente di diffusione della cultura scientifica. Sappiamo che il teatro può avere la forza per presentare la scienza a un pubblico molto vasto, come dimostrano opere quali la ‘Vita di Galileo’ di Brecht o ‘Copenhagen’ di Michael Frayn.
Ho aderito a questa iniziativa perché fin da subito ho trovato con Fondazione IBSA una grande corrispondenza in termini di curiosità e voglia di indagare. Trovo che sia importante l’impegno del dialogo tra arte e scienza: si tratta di grandi questioni che ci coinvolgono tutti e ci competono anche dal punto di vista etico.
C’È UN RAPPORTO PROFONDO CHE LEGA LA POESIA ALLA SCIENZA
Alberto Nessi, poeta
Il grande poeta Andrea Zanzotto ha studiato a fondo il rapporto tra poesia e scienza. E, in effetti, un rapporto c’è. Per esempio, nella poesia che ho scritto sulle Gole della Breggia si costruisce una lettura del testo quasi scientifica, che fa riferimento alla preistoria, ai fossili, alle pietre che sono dentro il paesaggio. Quel testo si presta anche ad altre considerazioni: quando è arrivato lo stop all’attività del cementificio che era lì da tanti anni, si è sviluppato un dibattito molto aspro fra chi voleva radere al suolo tutto, e chi invece proponeva di creare un museo.
Alla fine ha vinto, per fortuna, questa seconda tesi, ed è stata la decisione giusta, perché non dobbiamo solo ricordare l’Arte con la A maiuscola, ma anche le attività umane che sono importanti per la collettività. Quella vicenda ci insegna che anche da un insulto alla Natura può nascere, a volte, un luogo di incontri culturali.
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