Community Archaeology o Action Archaeology sono termini che stanno entrando nel lessico dell’Archeologia contemporanea, che si ridisegna nella dimensione pubblica coinvolgendo un ampio campo d’intervento.
La gestione delle risorse culturali e del paesaggio va ad abbracciare le metodologie e pratiche di engagement delle comunità, le politiche di sensibilizzazione del pubblico e, sebbene in numero ancora contenuto, nel panorama internazionale emergono esperienze con obiettivi ed esiti in termini di benessere.
L’archeologia pubblica, nel riassetto delle pratiche e dei campi d’indagine, rivela un potenziale d’impatto non solo in termini di memoria e identità culturale, ma anche come strumento per affrontare problemi, contrasti, stereotipi e crisi nel mondo contemporaneo.
Ingredienti dell’esperienza sono il contatto con i contesti naturali, l’incontro con i simboli e la cultura materiale (oggetti, luoghi, paesaggi) e il patrimonio immateriale (narrazioni, esperienze, memorie), tra passato, presente e futuro. A ciò si aggiungono l’inclusione sociale, la creatività e la ri-significazione, che consentono di creare rimandi e risonanze.
Ottime evidenze scientifiche
Dalla letteratura scientifica, si possono rilevare i primi dati sull’impatto del coinvolgimento nelle attività archeologiche – dai laboratori per il trattamento dei materiali, agli scavi e ricognizioni – di individui con disturbi da stress post-traumatico (PTSD), soggetti con disturbi mentali accompagnati da fragilità sociale, disabili, anziani con Alzheimer e demenza. Le esperienze più innovative di archeologia inclusiva prevedono équipe interdisciplinari, dove archeologi, esperti nell’educazione speciale, associazioni e volontari vengono affiancati da ricercatori specializzati nella valutazione dell’impatto psicofisico, in collaborazione con i centri di cura.
A partire dal 2011, in Inghilterra, l’Archeologia pubblica è stata identificata come uno strumento di supporto per la salute mentale nei programmi di prescrizione sociale, all’interno dell’NHS (National Health System) Long Term Plan 2019. Il piano consente agli operatori sanitari di intraprendere un approccio olistico alla cura, proponendo ai pazienti un network di servizi locali non clinici, tra i quali emergono in modo sempre più significativo i programmi culturali dei musei, siti archeologici e altre istituzioni. Alla base, la consapevolezza che la partecipazione culturale ricopre un ruolo chiave nella gamma dei fattori sociali e ambientali che determinano la salute e il wellbeing delle persone: aspetti che assumono crescente rilevanza con la pandemia che ha aggravato i disagi mentali e le disuguaglianze sociali, mettendo in crisi i sistemi sanitari.
Il wellbeing è indicatore del benessere nella società
Il report annuale 2020 dell’Heritage Alliance UK, che restituisce i risultati delle azioni intraprese per supportare la salute pubblica attraverso la cultura, definisce con chiarezza il wellbeing come indicatore drive per il progresso della società, in relazione allo scenario del COVID-19.
Durante il periodo dell’estate 2020, nel Regno Unito, 1 adulto su 6 ha sperimentato forme di depressione, a fronte di un rapporto 1:10, nel 2019. Il rapporto evidenzia che nel Paese, nei prossimi 3-5 anni, 8,5 milioni di adulti e 1,5 milioni di bambini e giovani avranno bisogno di interventi a sostegno della salute mentale, come conseguenza diretta della crisi pandemica. A fronte di ciò, il sistema di prescrizioni sociali viene riconosciuto come una “strategia di recupero” ad alta significatività.
All’interno del programma sostenuto dall’Heritage Alliance, il progetto Breaking Ground Heritage (BGH), dal 2015 a oggi, ha proposto oltre 35 percorsi di Rehabilitation Archaeology rivolti a militari e veterani con PTSD, in collaborazione con le Università di Glasgow, Leicester e Wessex Archaeology.
Gli strumenti per la valutazione dell’impatto selezionati dai ricercatori propongono un approccio psicologico al wellbeing: la Generalised Anxiety Disorder Scale (GAD7) viene usata per registrare i livelli di ansia; il Personal Health Questionnaire 8 (PHQ-8), per la depressione; la Werwick-Edimburgh Mental Wellbeing Scale (WEMWBS), per la rilevazione del wellbeing generale. In aggiunta, BGH ha sviluppato una scala precipua per le dimensioni dell’autostima e dell’isolamento, in quanto fattori rilevanti per prevenire il suicidio.
Uno studio sul progetto, pubblicato sulla rivista Antiquity, nel 2020 (vol. 94, 373), firmato da Paul Everill, Richard Bennett e Karen Burnell, evidenzia come la partecipazione alle attività archeologiche abbia prodotto nei veterani una diminuzione della gravità dei sintomi della depressione, dell’ansia, dell’isolamento e un aumento del benessere mentale, dell’autostima e del senso di comunità.
Nel decennio scorso (2008-2013), sempre nel Regno Unito, un importante progetto di archeologia pubblica dell’Università di York aveva coinvolto e reso protagoniste delle persone senza fissa dimora. Gli studenti di archeologia e i senza tetto avevano potuto partecipare congiuntamente alla mappatura dei paesaggi urbani liminari di Bristol e York e allo scavo di alcuni siti usati come aree abitative dalle persone con fragilità sociale. La ricercatrice Rachel Kiddey ha restituito, nel volume Homeless Heritage. Collaborative Social Archaeology as Therapeutic Practice l’impatto dell’esperienza in termini di maggiore connessione sociale, prospettive per una vita indipendente e un’occupazione per i partecipanti.
Futuri sviluppi
L’auspicio è che, in linea con le direttive europee e, in particolare, l’Agenda 2030, possano presto emergere programmi e progetti volti a ricongiungere le pratiche di interpretazione del passato alle esigenze sociosanitarie e culturali dei cittadini nella contemporaneità, prevedendo una restituzione degli impatti e una condivisione delle metodologie di misurazione.
A cura di Catterina Seia e Sara Uboldi
Sara Uboldi Dottore di Ricerca in Scienze Umanistiche, Università di Modena e Reggio Emilia