Forse non siamo così lontani da un uso di massa e quotidiano dei robot. Presto i robot vivranno nelle nostre case, ci aiuteranno nelle attività domestiche, nell’assistenza agli anziani, saranno utili nel monitoraggio dell’ambiente e del cibo. La vera sfida è allora prevedere l’impatto che questi robot avranno in futuro nel miglioramento della qualità della vita.
Parola di Barbara Mazzolai, biologa e ingegnere dell’Istituto italiano di tecnologia di Pontedera, recentemente autrice del libro “La natura geniale” (Longanesi editore) e coordinatrice del gruppo di ricerca europeo che ha creato i plantoidi, una nuova generazione di robot che prende ispirazione dalle piante. Un plantoide non ha forme antropomorfe (umanoidi) ma, proprio come una pianta, è dotato di tronco, rami, foglie e radici: queste ultime crescono per aggiunta di materiale sintetico stampato in 3D dall’interno e si muovono e orientano nell’ambiente grazie a sofisticati sensori posizionati nelle punte (gli apici radicali).
L’idea di costruire macchine e oggetti che riproducono le costruzioni e i meccanismi di funzionamento naturali non è così bizzarra come potrebbe sembrare a prima vista. E non è neppure una novità. Lo spiega bene il filosofo della scienza Telmo Pievani nel suo articolo “La robotica imita la biologia: largo ai plantoidi” (La Lettura, 14 aprile 2019):
“Si chiama robotica biomimetica: anziché reinventare tutto da capo, ci si ispira direttamente alle soluzioni sviluppate dai viventi in milioni di anni di evoluzione. Più o meno consapevolmente, lo facciamo da tempo: la struttura interna delle trabecole del femore umano ispirò Gustave Eiffel nella costruzione della torre parigina, il muso aerodinamico dei treni superveloci giapponesi è preso pari pari dal becco del martin pescatore, gli scotch più avanzati simulano le capacità adesive delle zampe del geco. Osservando il volo dei semi delle piante, gli ingegneri hanno progettato paracaduti e monoplani. E’ grazie alle piante che abbiamo il velcro e le superfici autopulenti”.
Già, ma di preciso, a cosa serve un plantoide?
“Per fare monitoraggio e ricerca di acqua o di sostanze pericolose nell’ambiente. Nel futuro potremmo utilizzarlo come nuovo endoscopio. Questa capacità di crescere all’interno dei tessuti, senza creare danni al nostro corpo e ai nostri organi, potrebbe essere proprio una nuova frontiera: il plantoide potrebbe rilasciare sostanze come farmaci, oppure andare alla ricerca di target di interesse medico”.
Nella visione di Mazzolai i robot non sono quindi una potenziale minaccia, ma un aiuto straordinario al servizio dell’umanità, frutto di un’alleanza virtuosa tra biologia e tecnologia.