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cancro al seno
Paolo Rossi Castelli04 feb 20213 min read

Cancro al seno, androgeni per potenziare le terapie

Gli ormoni maschili, utilizzati molti anni fa e poi abbandonati (per gli eccessivi effetti collaterali), ora vengono rilanciati da uno studio di ricercatori australiani.

 

Un approccio al tempo stesso vecchio e nuovo potrebbe imprimere una svolta importante alla cura dei tumori della mammella sensibili agli estrogeni, che rappresentano i due terzi del totale dei carcinomi del seno.  

 

Di cosa si tratta?  

L’attenzione degli oncologi, sempre alla ricerca di terapie più efficaci, è puntata questa volta sugli androgeni, cioè sugli ormoni maschili (soprattutto, il testosterone) presenti, sia pure a basse concentrazioni, anche nell’organismo femminile.  

Questi ormoni sono gli antagonisti naturali degli estrogeni (che, come dicevamo, alimentano la crescita delle cellule tumorali): dunque – si ipotizza – la loro attivazione potrebbe servire a fermare il tumore, soprattutto le metastasi (al contrario di quello che avviene per il cancro della prostata, dove invece sono proprio gli androgeni a stimolare le cellule cancerose). 

Per quanto riguarda il seno, l’idea di ricorrere agli androgeni, in verità, risale a diversi anni fa. Quando gli oncologi si sono resi conto che molte forme di tumore della mammella erano sostenute dagli ormoni sessuali femminili, hanno subito pensato di contrastarne la crescita con la somministrazione di quelli maschili 

 

Ma in quel periodo la conoscenza del funzionamento dei circuiti ormonali era ancora approssimativa, e si sapeva poco anche dei rapporti fra i diversi tipi di ormoni e le “strutture” (i recettori) delle cellule tumorali, con cui gli ormoni interagiscono.  

In più, le molecole a disposizione per un’eventuale terapia erano solo gli ormoni stessi (in particolare, il testosterone, e non – come avviene adesso – farmaci androgeni più selettivi), che causavano pesanti effetti collaterali quali la mascolinizzazione (possibile crescita di barba e peli, modifiche della voce, perdita dei capelli, e altri).  

 

Questo approccio è stato perciò presto abbandonato e considerato impraticabile, anche perché nel frattempo erano state sviluppate efficaci terapie alternative per bloccare gli estrogeni, con molecole ad hoc. Ma visto che un certo numero di donne ha poi mostrato risposte non efficaci a queste terapie, si è di nuovo pensato di “recuperare” gli androgeni, anche perché nel frattempo era aumentata in modo notevole la conoscenza di quanto accade al seno sia in condizioni di salute, sia nel caso di cancro.  

I ricercatori dell’Università di Adelaide (Australia) hanno così deciso di stimolare i recettori degli androgeni presenti sulle cellule tumorali utilizzando diversi tipi di sostanze simili al testosterone ma molto più “mirate”, e sono riusciti a dimostrare – su colture cellulari e su modelli (organoidi) ottenuti facendo moltiplicare le cellule di donne malate – che le cellule tumorali morivano.  

I risultati di questo studio sono poi stati pubblicati sulla rivista Nature Medicine e raccontati anche tramite un video. 

 

Ma in che modo l’attivazione dei recettori degli androgeni, grazie a specifiche terapie, determina la “soppressione” delle cellule tumorali?  

meccanismi biologici sono molto complessi, ma possiamo provare a spiegarli, in estrema sintesi, così: il “potenziamento” dei recettori degli androgeni provoca un conseguente disordine dei tratti del DNA (il codice genetico) che governano i recettori degli estrogeni, necessari alle cellule tumorali per crescere, e tutto questo rende molto meno efficaci questi ultimi recettori.  

“Tali risultati – scrivono gli oncologi australiani su Nature Medicine – forniscono prove inequivocabili che il recettore degli androgeni ha un ruolo soppressore del tumore nel carcinoma mammario sensibile agli estrogeni e offre un’opportunità terapeutica”. 

Inoltre questa tecnica sembra in grado di superare la resistenza che alcune forme di tumore mostrano nei confronti di farmaci antitumorali molto usati contro il carcinoma della mammella, come il tamoxifene o i cosiddetti anti-ciclina CDK4/6, con minori effetti collaterali.  

Le sostanze usate dai ricercatori australiani, infine, si sono rivelate utili per aumentare la densità ossea. 

I risultati di questi studi di laboratorio verranno presto trasferiti direttamente alle pazienti.  

Nel secondo trimestre di quest’anno partirà, infatti, una sperimentazione di fase 3 (quella che precede l’autorizzazione definitiva) con l’Enobosarm, un agente che attiva il recettore degli androgeni, in pazienti con carcinoma mammario metastatico positivo al recettore degli androgeni stessi e al recettore degli estrogeni, che hanno fallito la terapia endocrina tradizionale. La sperimentazione di fase 2, che si è conclusa qualche mese fa, ha dato esiti positivi, e adesso si passerà ai test su un numero più ampio di pazienti. 

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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