Un gruppo di ricercatori dell’Università di Calgary (Canada), composto da cardiologi, cardiochirurghi, biologi e fisiologi, ha pubblicato sulla rivista scientifica Immunity uno studio che potrebbe avere importanti ripercussioni sulle terapie post-infarto. Dopo tre anni di indagini, gli studiosi sono infatti riusciti a isolare e a descrivere una nuova classe di elementi del sistema immunitario, i macrofagi Gata6+ (così li hanno chiamati), presenti nel liquido che si trova tra il cuore e la sua membrana protettiva, il pericardio. Questi “nuovi” macrofagi, capaci di produrre in abbondanza l’omonima proteina Gata6 (trovata anche in atri tipi di cellule “riparatrici”), sono apparsi particolarmente attivi in caso di danno e trauma cardiaco, favorendo la rigenerazione dei tessuti lesionati. Minore sembra, invece, la loro forza nel combattere le infezioni (ruolo preponderante degli altri tipi di macrofagi).
Negli animali da laboratorio con un infarto – hanno verificato i ricercatori – i macrofagi Gata6+ migrano e si dirigono verso la zona del danno, dove iniziano subito a promuovere attivamente la riparazione dei tessuti colpiti. La controprova si è avuta, per gli studiosi, osservando cosa accade se il cuore viene privato del pericardio e del liquido che gli sta intorno: non compaiono più i macrofagi Gata6+, e vengono prodotte cicatrici e zone fibrotiche molto più estese e rigide, al posto delle cellule muscolari. Gli studi sono stati eseguiti, finora, solo sugli animali, ma i macrofagi Gata6+ sono stati trovati anche nel cuore umano.
Come i ricercatori spiegano su Immunity, è noto da tempo che il liquido pericardico ha caratteristiche molto particolari, e che contiene molte e diverse cellule e sostanze; tuttavia non si era mai capito fino in fondo di cosa si trattasse. Grazie a strumenti tecnologici avanzati, e al finanziamento di diversi enti benefici, gli scienziati di Calgary sono riusciti finalmente a identificare questi particolari macrofagi, specialisti della rigenerazione cellulare. Quando si conosceranno meglio le loro caratteristiche, si capirà anche se, e come, sfruttare queste capacità a scopo terapeutico (anche affiancando, o sostituendo, le cellule staminali, che da molti anni vengono studiate per aiutare i pazienti post-infarto, ma con risultati insoddisfacenti, finora). Nel frattempo, suggeriscono i ricercatori canadesi, sarebbe importante indagare a fondo – alla luce di questi nuovi studi – sugli effetti di una pratica estremamente comune: l’asportazione del pericardio durante gli interventi chirurgici al cuore, oggi considerata normale, ma forse da evitare ogni volta che si può.