Tecnica d’avanguardia sperimentata con successo (per ora sugli animali) dalla Columbia University di New York. Attenzione puntata sull’entesi, la membrana che unisce il tendine all’osso.
I traumi, sportivi e non, o anche la semplice usura dovuta all’età, possono essere all’origine di gravi lacerazioni dei tendini, molto difficili da riparare anche chirurgicamente.
Un esempio di questo genere di danno è quello che si verifica nella cosiddetta cuffia dei rotatori, l’insieme (complesso) di muscoli e di tendini che avvolgono e proteggono l’articolazione della spalla. In realtà ciò che letteralmente si strappa è una membrana resistente, ma anche molto sottile, chiamata entesi, che collega il tendine all’osso. Anche quando il tendine viene ricucito chirurgicamente, non ci sono garanzie sul fatto che l’entesi si riformi e che, dunque, il tendine possa legarsi saldamente alle ossa e torni a funzionare come prima (i fallimenti degli interventi vanno dal 20% nei più giovani a oltre il 94% nelle persone più avanti con gli anni).
Tutto questo espone al rischio di nuove e sempre più frequenti lacerazioni: un tipo di circolo vizioso che chi pratica sport a elevata intensità conosce molto bene.
Ora, però, uno studio – effettuato per il momento solo sugli animali da laboratorio – fornisce una speranza in più, utilizzando in modo innovativo le cellule staminali che normalmente danno vita all’entesi stessa, secondo una via che cerca di riprodurre tutto il processo naturale. A condurlo sono stati i ricercatori del Dipartimento di chirurgia ortopedica della Columbia University di New York, che hanno poi pubblicato sulla rivista scientifica Cell Stem Cell quanto osservato.
Il loro studio si inserisce in un’intensa attività internazionale (e anche svizzera e ticinese), che tenta, con risultati ancora incompleti, di utilizzare le cellule staminali in ambito ortopedico, al fine di curare o addirittura ricostruire le articolazioni danneggiate.
Per quanto riguarda l’entesi, deriva da cellule chiamate GLi1+, e proprio da queste staminali gli ortopedici di New York hanno deciso di partire, effettuando una sorta di trapianto in un’area lesionata, simile alla cuffia dei rotatori umana. I risultati sono apparsi molto positivi, perché effettivamente l’entesi, sostenuta dalle Gli1+, si è rigenerata molto più di quella degli animali che non erano stati trattati con questa tecnica, ma solo con il classico intervento chirurgico.
Prima di procedere con l’infusione di cellule Gli1+, i ricercatori avevano studiato nel dettaglio ciò che accade a livello cellulare e molecolare, quando l’organismo crea l’entesi, dimostrando che, negli animali da laboratorio, intervengono ben sei tipi diversi di cellule staminali, grazie all’attivazione di numerosi geni e mediatori biochimici.
Uno studio simile andrà eseguito anche sugli esseri umani, prima di poter arrivare alle prime sperimentazioni, e questo richiederà ancora molto lavoro. Dunque, sarà indispensabile capire i ruoli dei differenti tipi cellulari nella costituzione della membrana.
Inoltre si dovrà verificare la possibilità di far proliferare queste cellule in laboratorio, per poterle utilizzare anche nelle persone anziane, che hanno poche cellule staminali (a differenza dei più giovani). Infine, ci saranno da ottimizzare gli aspetti più tecnici, quali quelli chirurgici, quelli relativi alle infusioni in sede al trattamento e conservazione delle cellule Gli1+. Ma una porta significativa sembra aperta.