È stato messo a punto dal MIT di Boston (USA) un nuovo metodo per la somministrazione chemioterapica, per superare l’attuale sistema un po’ datato che si basa sul calcolo “empirico” della superficie corporea. Grazie al nuovo dispositivo, chiamato CLAUDIA, il sangue viene prelevato ogni cinque minuti e la “macchina”, regola in tempo reale la dose più efficace
Il dosaggio dei farmaci chemioterapici (la quantità di farmaco da somministrare ai pazienti oncologici) per via endovenosa oggi si basa sul calcolo della superficie corporea, un parametro che tiene conto del peso e dell’altezza, messo a punto per la prima volta nel 1916 dopo una verifica effettuata su un numero ristretto di pazienti oncologici, e poi via via aggiornato.
Per quanto più accurato dei dosaggi degli altri tipi di farmaci, oggi questo sistema mostra tutti i suoi anni, e tutta la sua inadeguatezza. È infatti possibile che due persone con la stessa superficie corporea siano molto diverse (per esempio, una può essere alta e magra, l’altra bassa e grassa, con differenti quantità di massa muscolare e di altri tessuti). Inoltre, i pazienti possono avere un microbiota diverso, fattore che influenza in modo decisivo la reazione alla terapia (come dimostrano studi recenti). I malati, poi, possono utilizzare anche altri farmaci che, a loro volta, condizionano il metabolismo degli antitumorali. Oppure i pazienti possono avere differenze genetiche, che portano a potenziare, o meno, l’azione di alcuni enzimi coinvolti nella “gestione” dei medicinali. Infine, l’assunzione dei chemioterapici in orari differenti della giornata può avere un suo effetto, perché modifica molto l’espressione di alcuni degli enzimi che li metabolizzano.
Tutte - le variabili descritte in precedenza, insieme ad altre, si ripercuotono su due aspetti fondamentali: l’efficacia e la tossicità di un chemioterapico, che vengono considerate nella norma quando la concentrazione dei farmaci resta entro un “range” chiamato intervallo terapeutico. Tuttavia, proprio per le variabili citate, in molti casi ciò avviene solo durante una parte della somministrazione della chemioterapia. Nel resto del tempo, i farmaci sono spesso troppo concentrati (e pongono così i pazienti a rischio di una tossicità eccessiva, che potrebbe essere evitata), oppure troppo diluiti - con il rischio, in questo caso, che i malati non traggano l’intero beneficio che invece potrebbero ottenere.
Per superare il criterio poco preciso della superficie corporea, i bioingegneri del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno ideato un sistema che, negli animali da laboratorio, ha dato risultati molto promettenti.
Il farmaco utilizzato per gli esperimenti era uno dei chemioterapici più vecchi e delicati da amministrare (tuttora in circolazione): il 5 fluorouracile o 5FU, la cui somministrazione viene fatta per infusioni che possono durare anche 46 ore. Come riferito sulla rivista scientifica Med, l’idea è stata quella di realizzare un monitoraggio continuo della concentrazione di 5FU nel sangue, in modo che le informazioni di tale controllo costante potessero essere immediatamente trasferite al sistema che dispensava il farmaco, adeguando di volta in volta le dosi, per restare il più a lungo possibile entro l’intervallo terapeutico.
Il sistema, denominato CLAUDIA (Closed-Loop AUtomated Drug Infusion regulAtor), preleva il sangue tramite un apposito ago ogni 5 minuti, e dosa immediatamente il chemioterapico (in questo caso il 5FU) con un cromatografo (uno strumento che consente di separare i componenti di una miscela liquida, o gassosa). Quindi invia i dati a un algoritmo, che modula il rilascio dello stesso farmaco in base alle informazioni ricevute.
Negli animali da laboratorio monitorati grazie a CLAUDIA, il 5FU è rimasto entro l’intervallo terapeutico (la distanza tra la dose necessaria per avere l'effetto farmacologico e la dose che provoca un effetto tossico) per il 45% del tempo, mentre in quelli di controllo (che non venivano “misurati”, cioè, tramite il nuovo dispositivo) questo è avvenuto solo nel 13% del tempo. Le potenzialità sono dunque evidenti.
I ricercatori hanno realizzato, per adesso, un dispositivo CLAUDIA sperimentale, ma ora, confortati dall’esito positivo delle prime prove, stanno cercando di mettere a punto un’attrezzatura che possa essere standardizzata e prodotta in serie - dopo nuovi test - in modo da poterla utilizzare anche sugli esseri umani, con notevoli vantaggi, almeno potenzialmente, per i malati.