Test positivi al Politecnico di Zurigo con i “fagi”. Questi particolari virus sono in grado di colpire i batteri e possono essere utilizzati per identificare un’infezione e contrastarla efficacemente.
Diversi gruppi di ricerca nel mondo stanno puntando l’attenzione sui virus batteriofagi (chiamati anche soltanto fagi, dal greco “phagein”, mangiare), cioè sui virus che prendono di mira e infettano i batteri - e non gli esseri umani.
Dopo essere stati a lungo studiati nella prima metà del Novecento come possibili “strumenti” per combattere alcune malattie batteriche (l’idea era quella di utilizzare i fagi per annientare i batteri più pericolosi), questo tipo di studi era stato poi abbandonato in seguito allo sviluppo degli antibiotici. Ma adesso, di fronte alla presenza di ceppi batterici sempre più resistenti agli antibiotici stessi, le ricerche sui fagi hanno ripreso vigore.
Un esempio interessante arriva dall’Institute of Food, Nutrition and Health del Politecnico di Zurigo, che ha pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications due studi sui fagi, appunto, e in particolare sul loro uso (diagnostico e terapeutico) per contrastare la cistite e altre infezioni delle vie urinarie, che colpiscono soprattutto le donne.
Cistite: difficile una diagnosi precisa
Quando si presenta una cistite, uno dei problemi principali è comprendere da quale microrganismo sia causata, perché sono numerosi i germi che possono infettare la vescica, gli ureteri e i reni. Identificare il batterio responsabile è una tappa imprescindibile, prima di somministrare un possibile rimedio, se si vuole combattere in modo efficace l’infezione, ma non è affatto semplice, e richiede diversi giorni, con i test convenzionali (urinocoltura e altri).
Per tale motivo i ricercatori svizzeri hanno pensato di ricorrere ai fagi, visto che ne esiste un tipo specifico per ogni singolo ceppo di batteri.
Come spiegano in uno dei due studi, i microbiologi del Politecnico zurighese hanno modificato geneticamente i fagi capaci di infettare le tre “famiglie” di batteri più frequentemente coinvolti nelle cistiti, e cioè Escherichia coli, Klebsiella ed Enterococcus. In seguito a queste modifiche, ogni volta che - durante i test sull’urina in laboratorio - un fago raggiungeva un batterio, quest’ultimo emetteva un segnale luminoso. Come hanno poi illustrato nel secondo lavoro, i ricercatori sono riusciti così a identificare i batteri presenti nelle urine di oltre 200 persone in sole 4 ore, con una specificità del 99%, una sensibilità elevata (compresa tra il 68 e l’87%) e un’accuratezza superiore al 90%.
Strumento anche di terapia
Ma non basta: gli infettivologi hanno anche dimostrato che la quantità di bioluminescenza emessa dai batteri “aggrediti” diventa, nei fatti, un indice per capire la forza e l’efficienza dei fagi, che così potrebbero essere utilizzati anche come terapia. In altre parole, il metodo messo a punto dai ricercatori del Politecnico di Zurigo potrà essere utilizzato sia per avere in tempi rapidi un quadro esatto del tipo di infezione presente (e dunque prescrivere l’antibiotico migliore), sia per somministrare a ogni singolo paziente una quantità sufficiente di fagi specifici, in grado di contrastare la sua infezione, a complemento degli antibiotici stessi.
Ulteriori studi saranno però necessari per arrivare realmente all’applicazione clinica e bisognerà anche aggiornare le norme: sono procedure assai complesse da elaborare, visto che si tratta di materiali biologici con caratteristiche uniche.
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