Sperimentata (per ora soltanto sugli animali) un’innovativa tecnica all’Università del Minnesota. I reni vengono “vetrificati” in azoto liquido a -150 gradi e poi riportati alla piena funzionalità tramite nanoparticelle.
Vetrificare. È questa la parola che potrebbe aprire nuove prospettive nel settore dei trapianti, permettendo di conservare per lungo (lunghissimo) tempo gli organi, prima di inserirli nei pazienti da curare. Un esperimento-pilota in questo ambito è stato eseguito per la prima volta con successo da un gruppo di bioingegneri e chirurghi dell’Università del Minnesota (Stati Uniti) sugli animali da laboratorio (ratti). I ricercatori hanno congelato in modo ultrarapido tramite azoto liquido a -150° gradi (in questo consiste la vetrificazione) i reni espiantatati da animali sani, e dopo alcuni giorni li hanno scongelati con un sistema particolare (nanoriscaldamento). Infine, li hanno utilizzati per un trapianto, verificando che i reni stessi fossero nuovamente vitali, e perfettamente conservati.
I reni vetrificati - spiegano i ricercatori sulla rivista scientifica Nature Communications - possono essere conservati fino a 100 giorni, e questa tecnica, se potrà essere applicata in futuro anche agli esseri umani, consentirà di pianificare molto meglio i trapianti, “raggiungendo i pazienti in modo più equo - precisano gli studiosi - indipendentemente dai vincoli geografici e temporali”.
La vetrificazione venne studiata per la prima volta dal prete svizzero Basile Luyet negli anni ’30, ma i numerosi tentativi di crioconservazione degli organi che si sono poi susseguiti fino a oggi sono falliti, soprattutto a causa della formazione di ghiaccio, che provocava danni irreversibili.
La vetrificazione consente, invece, di portare gli organi in uno stato stabile, simile al vetro. «Tuttavia – precisano gli studiosi – il successivo riscaldamento degli organi vetrificati può analogamente fallire a causa della cristallizzazione del ghiaccio, se il riscaldamento è troppo lento, o della rottura delle cellule per stress termico, se il riscaldamento non è uniforme».
Il nanoriscaldamento si è rivelato la soluzione giusta. Come funziona?
Negli organi da conservare viene iniettata una soluzione che contiene nanoparticelle magnetiche (particelle, cioè, nell’ordine del milionesimo di millimetro), più un liquido per la conservazione dei tessuti biologici. Quando si procede allo scongelamento, campi magnetici alternati riscaldano le nanoparticelle all'interno del sistema vascolare dell'organo, dopodiché le nanoparticelle stesse vengono rimosse facendo defluire il liquido in cui sono contenute. Entro 45 minuti dal trapianto il rene inizia a funzionare, cioè a produrre urina, ed entro tre settimane tutti i parametri si normalizzano.
Come dicevamo, è la prima volta che si riesce a effettuare uno scongelamento del genere, superando i limiti attuali dei trapianti, che possono essere eseguiti solo con organi prelevati poche ore prima, dal momento che i tessuti si danneggiano molto velocemente. Restano, però, numerosi aspetti da ottimizzare a causa del fatto che, ad esempio, non si sa ancora esattamente quale sia nel lungo periodo (mesi o anni) la funzionalità dei reni scongelati e trapiantati, e perché non necessariamente ciò che si vede nei modelli animali si ritroverà nell’uomo.
I ricercatori, in ogni caso, hanno preannunciato che la tecnica potrà essere ottimizzata e resa disponibile per le prime sperimentazioni cliniche già entro un paio d’anni, dopo i quali ne occorreranno almeno altri cinque per completare tutte le verifiche.