Come riferisce la rivista scientifica BMC Biology, questi fotorecettori hanno proprietà inaspettate: vengono inibiti, e non attivati dalla luce, seguendo “meccanismi” che in parte si ritrovano anche negli occhi umani. Secondo i ricercatori tedeschi, la scoperta dei 2c-cyclop fornirà nuovi “strumenti” a chi si occupa di optogenetica, un innovativo ramo della biologia che studia la possibilità di attivare o disattivare specifici tratti del Dna (in cellule trattate opportunamente) con semplici impulsi di luce.
Il professor Georg Nagel, che ha firmato il lavoro su BMC Biology, è considerato uno dei pionieri dell’optogenetica, insieme al biofisico Peter Hegemann, della Humboldt Universität di Berlino, e ad altri scienziati. Tutto è nato una quindicina di anni fa proprio dagli studi sulle alghe, quando i ricercatori si sono resi conto che particolari proteine di questi organismi vegetali, chiamate opsine, erano in grado di reagire alla luce e potevano essere trasferite all’interno delle cellule nervose (anche di quelle umane), tramite una tecnica di ingegneria genetica. Siccome le opsine favoriscono la propagazione degli impulsi elettrici tipici delle cellule nervose, ma sono anche sensibili alla luce, i ricercatori hanno potuto “indirizzare” la loro attività utilizzando diversi tipi di impulsi luminosi. Questo ha permesso di studiare dall’interno meccanismi cellulari dei neuroni prima difficili da decifrare: soprattutto, quelli che riguardano il funzionamento e il malfunzionamento delle cellule coinvolte in malattie come il morbo di Parkinson, l’autismo, l’ansia e la depressione.
Anche le 2c-cyclop appartengono alla famiglia delle opsine, ma utilizzano meccanismi biochimici diversi da quelli delle altre molecole che erano state scoperte finora nelle alghe. E, proprio per questo, potranno aprire nuove strade nell’ambito dell’optogenetica.