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Paolo Rossi Castelli29 gen 20202 min read

Dai farmaci del passato nuove molecole contro il cancro

I farmaci antitumorali del futuro potrebbero arrivare, anche, dal passato. E l’individuazione di attività finora mai emerse in molecole già in uso potrebbe avere anche un’altra ripercussione: la scoperta di meccanismi d’azione e bersagli finora mai individuati.

Questo tipo di studio, che viene chiamato con il termine inglese di repositioning (perché basato, appunto, sul riposizionamento di farmaci già approvati verso indicazioni diverse da quelle originarie), è stato sempre sporadico, finora, in campo oncologico, e legato a ricerche specifiche di singoli laboratori o centri.

Ora, invece, gli esperti del “Broad Institute of MIT and Harvard” e del Dana-Farber Cancer Institute di Boston, hanno lavorato in modo sistematico, utilizzando i dati contenuti in un grande archivio – gestito dallo stesso Broad Institute – che raccoglie un’ampia serie di informazioni su 6.000 farmaci già in uso, e li hanno esaminati in veste anti-cancro, ottenendo risultati significativi.

Come riferisce la rivista scientifica Nature Cancer, infatti, la verifica di oltre 4.500 vecchi medicinali, approvati per la cura di patologie come artrosi, diabete, infiammazioni, ipercolesterolemia e altro, ha permesso di identificare, tramite il contatto con 578 linee cellulari umane in coltura (cioè tumori che crescono in provetta), una cinquantina di molecole dotate di potenti effetti anti-tumore, su diversi tipi di neoplasie (colon, polmone e altro).

Ora, naturalmente, andranno eseguiti nuovi test, più ampi, direttamente sugli uomini. Ma se arriveranno ulteriori conferme, l’iter per l’approvazione di questi farmaci (spesso a basso costo) potrà essere più rapido del normale, visto che tali molecole hanno già superato le prove richieste per la commercializzazione.

Come dicevamo, i ricercatori hanno anche cercato di capire, naturalmente, in che modo agiscono, contro i tumori, questi “vecchi” farmaci, e hanno visto che in alcuni casi l’effetto è diverso da quelli finora conosciuti: per esempio, è dovuto non alla soppressione di determinate molecole presenti nelle cellule tumorali (modalità d’azione consueta in molti farmaci anti-cancro) ma, sul versante opposto, all’attivazione di qualche proteina, che manda in tilt – se vogliamo usare questo termine – i meccanismi necessari al tumore per svilupparsi.

In un altro caso, un farmaco utilizzato per contrastare l’artrosi nei cani, chiamato tepoxalina, ha mostrato le sue capacità antitumorali andando a colpire un bersaglio, non ancora noto, legato alla proteina MDR1 (una proteina che, se viene prodotta in quantità superiore alla norma, guida la resistenza ai farmaci chemioterapici).

Infine, un composto contenente vanadio, studiato per il diabete, si è dimostrato efficace in cellule tumorali che esprimono una proteina per il trasporto dello zolfo, chiamata SLC26A2: tutte strade da approfondire.

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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