Alcune forme di cancro vengono identificate tramite frammenti di DNA che le cellule tumorali “liberano” nel sangue. Un’équipe di ricercatori vietnamiti ha trovato il modo per rendere più attendibile la “lettura” di queste tracce.
La cosiddetta biopsia liquida è un particolare e complesso esame del sangue - ancora in gran parte sperimentale - che permette, in vari modi, di capire se nell’organismo è presente un tumore allo stadio iniziale, oppure sono attive le sue metastasi, o se una terapia sta avendo effetto. Un’innovazione che potrebbe compiere un salto di qualità, se i risultati ottenuti dagli oncologi dell’istituto di ricerca Gene Solutions e dal Medical Genetics Institute di Ho Chi Minh City, in Vietnam, appena pubblicati su eLife, troveranno conferme.
Come funziona la biopsia liquida?
Questa tecnica, di recente sviluppo, si basa sull’individuazione nel sangue o in altri fluidi corporei di frammenti di DNA (in termine tecnico, ctDNA, cioè circulating tumor DNA) persi dalle cellule tumorali, per motivi naturali, o per gli effetti delle terapie oncologiche. Non è però facile capire da quali tipi di cancro provengano questi frammenti, a causa delle quantità minime di ctDNA presenti, e dell’estrema variabilità dei geni, della loro espressione e di altri parametri. I test attuali mancano, quindi, spesso di accuratezza nella classificazione della fonte del DNA tumorale e richiedono in molti casi anche altri esami, insieme a un “sequenziamento genetico” approfondito, che è costoso e non può essere eseguito su un ampio numero di malati.
Ebbene, gli oncologi vietnamiti hanno messo a punto una nuova versione della biopsia liquida, chiamata SPOT-MAS (da Screening for the Presence of Tumor by DNA Methylation and Size), che sembra dotata di un potere diagnostico nettamente superiore rispetto a quello dei metodi attuali. In particolare, gli studiosi hanno attivato un sistema che si basa sull’analisi contemporanea di diversi elementi, grazie all’intelligenza artificiale. Questi parametri sono: le dimensioni dei frammenti di ctDNA, il numero di copie presenti, la situazione della metilazione (cioè di uno specifico tipo di modifica chimica presente nel ctDNA), la sequenza delle basi (gli elementi costitutivi del codice genetico) poste alla fine dei frammenti, ed eventuali sequenze ripetute. Nel loro insieme, tutti questi parametri differenziano il DNA tumorale da quello delle cellule sane, e consentono di capire da dove ha avuto origine il ctDNA, cioè qual è il tumore primario che l’ha “perso”, e in quale stadio si trova.
Diagnosi tumorali sempre più accurate
Una volta creato il protocollo, i ricercatori lo hanno sperimentato su 730 pazienti con tumori del colon retto, del polmone, del fegato, dello stomaco e della mammella, e su 1.550 persone sane, per confronto, al fine di definire una sorta di firma genetica specifica (cioè una particolare composizione del ctDNA per ogni diverso tipo di tumore). Quindi hanno utilizzato queste “firme” per analizzare il sangue di altri 239 pazienti colpiti da una delle cinque forme di cancro prese in considerazione, e verificare l’attendibilità dello SPOT-MAS.
Gli studiosi hanno così visto che l’esame era riuscito a individuare il 73% dei tumori, con un’accuratezza del 97%. Ma oltre a intercettare la “generica” presenza dei tumori, il nuovo test - secondo i ricercatori - ha consentito anche di caratterizzarne, nel 70% dei casi, l’origine, con i risultati più accurati per quanto riguarda il tumore del fegato (individuato nel 90% dei casi), e quelli meno precisi, invece, per il carcinoma della mammella, scoperto solo in un caso su due circa.
Presto al via nuove sperimentazioni
Naturalmente ora sarà necessario confermare le potenzialità della biopsia liquida SPOT-MAS su campioni più ampi (gli stessi oncologi vietnamiti hanno già preannunciato una nuova serie di test), poi confrontare tutti i dati con quelli dell’esame classico e, infine, compiere anche valutazioni di tipo economico, per avere la certezza che il nuovo test abbia davvero un buon rapporto costi-efficacia.
La speranza è quella di poter disporre di esami che entrino sempre più nella routine clinica, soprattutto in caso di sospetto della presenza di un tumore di origine sconosciuta, o per confermare l’esito di altre indagini.