All’inizio della sua presentazione, la giovane astronoma Edwige Pezzulli mostra la fotografia di com’era l’Universo all’inizio, quasi 14 miliardi di anni fa.
“A quel tempo la materia era racchiusa in uno spazio estremamente piccolo e distribuita in modo omogeneo: ovunque lo guardassimo l’universo era sempre identico, un mare omogeneo di materia. Ma osservando meglio questa fotografia, ci si accorge che erano presenti piccole irregolarità, cioè in alcuni punti la materia era leggermente più densa del resto. Queste zone rosse sono estremamente importanti, perché rappresentano i semi da cui si formeranno le galassie. Infatti la sovradensità ha attratto sempre più materia, finché lì un miliardo di anni dopo il Big Bang sono nate le prime stelle e le prime galassie”.
Oggi, utilizzando i telescopi più avanzati, abbiamo potuto osservare che le prime galassie ospitano al loro centro dei “buchi neri supermassicci”. Ma come si sono formati? E, soprattutto, come hanno fatto a crescere così tanto in un tempo (relativamente) breve?
Per provare a rispondere a queste domande occorre fare un passo indietro. Come spiega Pezzulli: “alcune stelle terminano la loro vita esplodendo, e al termine di questa esplosione può rimanere un buco nero, cioè un oggetto così compatto che la gravità che esercita non permette a niente di sfuggirgli, nemmeno alla luce”.
Appena nati, i buchi neri hanno masse simili al nostro sole, cioè sono molto più piccoli di quelli che osserviamo all’interno delle galassie. Per crescere, si fondono con altri buchi neri e, soprattutto, fagocitano tutta la materia che hanno intorno.
“Questi due meccanismi di crescita dei buchi neri vanno a braccetto con la galassia in cui si trovano e così per ogni galassia possiamo costruire una sorta di albero genealogico, una dinastia fatta di galassie più piccole che man mano creeranno la più grande finale, accrescendo materia dall’ambiente circostante.”
Studiando il raffreddamento del gas, che è un processo che permette alle stelle di nascere, e seguendole fino alla loro morte, gli astronomi hanno potuto identificare in quali galassie sono nati i progenitori dei primi buchi neri e hanno ricostruito la loro evoluzione. Anche se si tratta di un fenomeno tutt’altro che semplice da osservare: gli antenati dei buchi neri crescono così rapidamente che le tracce luminose che lasciano assomigliano a dei fuochi d’artificio cosmici. Nella loro azione impetuosa sprigionano moltissima energia, che crea venti di materia che investono l’interno e l’esterno della galassia ospite. In questo modo spargono ovunque gli elementi chimici prodotti dalle stelle, contaminando tutto l’Universo.
I primi buchi neri supermassicci sono certamente tra gli oggetti più estremi dell’universo. Ma, come osserva Pezzulli,“la cosa più straordinaria di questo puzzle è realizzare che anche oggetti così incredibili hanno avuto origine da una piccolissima, microscopica imperfezione casuale”.