Ricercatori israeliani hanno prodotto in laboratorio un embrione umano usando cellule staminali, evitando l'uso di spermatozoi, ovuli o utero. Questa ricerca offre nuove prospettive sulle prime tappe dello sviluppo embrionale.
L’hanno chiamato embrioide, perché è un organoide (una sorta di sosia) che assomiglia a un embrione umano, pur non essendo stato generato dall’incontro di gameti maschili e femminili, ma soltanto da un impiego sperimentale di cellule staminali indifferenziate, pluripotenti, estratte dalla cute adulta, che possono teoricamente diventare qualunque tipo di cellula matura, spinte a differenziarsi in cellule specializzate fetali.
A mettere a punto l’embrioide sono stati i ricercatori dell’Istituto Weizmann di Rehovot, in Israele, con una finalità molto chiara: disporre di un modello adatto per studiare i primi giorni di sviluppo dell’embrione, le tecniche di fecondazione assistita, l’eventuale risposta a farmaci, la crescita di tessuti per trapianti e tutto ciò che può riguardare la medicina fetale, senza ricorrere in alcun modo a cellule derivanti da embrioni umani.
Come illustrato sulla rivista scientifica Nature, le cellule staminali pluripotenti, una volta messe in coltura (con un protocollo che i ricercatori israeliani stanno affinando da dieci anni, e che si basa solo su particolari terreni di coltura, e non su modifiche genetiche), sono diventate qualcosa di molto simile a un embrione di 14 giorni, con tanto di placenta, sacco vitellino e corion (i tre strati che proteggono il feto) e, grazie a questo, rappresentano un modello estremamente avanzato di feto alla seconda settimana di vita.
Tutte le cellule presenti nell’embrioide sembrano acquisire la giusta funzione: per esempio, secernono ormoni tipici della gravidanza (se si esegue un test commerciale con i liquidi secreti dall’embrioide, il risultato appare positivo). Inoltre, il sistema non ha alcuna possibilità di evolvere ulteriormente, neanche se venisse impiantato in utero, perché non può sviluppare una struttura simile a quella muscolare o scheletrica organizzata, e quindi - sostengono i ricercatori - è destinato a rimanere per sempre allo stadio del 14esimo giorno. In quel momento, l’embrioide contiene circa 2.500 cellule, e ha un diametro di mezzo millimetro.
Salute del feto: molte domande senza risposta
Per quanto possa sembrare strano, ci sono ancora numerose domande senza risposta sulle primissime fasi dello sviluppo e, in particolare, sul primo mese, che è anche quello più pericoloso per la salute del feto, e quello in cui possono verificarsi anomalie genetiche o tissutali. Alcuni di questi interrogativi potrebbero essere chiariti proprio grazie agli embrioidi, come finora non era mai stato possibile fare, per motivi etici e per difficoltà pratiche. Ad esempio, i ricercatori hanno già scoperto che, se l’embrione non è correttamente avvolto dalla placenta al giorno 3 (che corrisponde al giorno 10 della gestazione umana), le strutture interne non si sviluppano in modo adeguato. Analogamente, verranno progettati diversi studi con farmaci, impossibili da sperimentare su feti viventi, per ovvie ragioni etiche.
La tecnica andrà comunque ottimizzata, perché al momento solo l’1% delle cellule staminali trattate riesce a diventare un embrioide, ed è quindi necessario migliorare l’efficienza del protocollo, se si vuole che l’embrioide stesso diventi uno strumento alla portata di molti laboratori, e sia realizzabile senza costi e tempi eccessivi.