La storia delle invenzioni, compresa quella delle creazioni artistiche, è costellata di ricerca logica e di casualità; scoperte a volte avvenute bevendo un caffè, un bicchiere di vino, un whiskey, o una coca al bar.
Noto è che alcune importanti scoperte siano state fatte per caso, anche se all’interno di ricerche e conoscenze sperimentali, come ad esempio la Penicillina, scoperta nel 1928 da Alexander Fleming, il quale si trovò a osservare che una piastra di coltura dimenticata su una stufa era contaminata da una muffa in cui la crescita batterica era inibita.
Fare scoperte per puro caso viene chiamato serendipity e anche la ricerca di pratiche artistiche è costellata di creazioni casuali, mentre altre sono frutto di ricerca e progettazione. Tuttavia, è senso comune che l’arte attenga maggiormente al territorio della creazione, mentre quello della scienza a quella dell’invenzione, seppur in certi casi, pensiamo a Leonardo da Vinci, il confine è molto, molto labile, anzi spesso non esiste.
Vorrei perciò partire da queste riflessioni per procedere nei nostri discorsi relativi al mondo della digital aesthetics. Si tratta di un mondo in cui l’artisticità, l’esteticità è realizzata con il concorso di macchine intelligenti, computers di vario tipo, soprattutto servendosi di applicazioni convertite e/o appositamente progettate come gli algoritmi, specie le GAN (Generative Adversial Network) ideate, nel 2014, dall’allora giovane studioso Ian Goodfellow dopo una serata al pub con i soliti quattro amici. E dato i risultati che questa scoperta ha da allora conseguito e consegue, mai omen fu più nomen, tanto da farci qui tutti insieme cantare con un atteggiamento festoso:
For he’s a jolly good fellow
For he’s a jolly good fellow
For he’s a jolly good fellow
And so say all of us!
Which nobody can deny!
Ma, ciò che viene contestato agli artisti che producono opere digitali è che una macchina, storia vecchia, non può creare opere d’arte e che gli scienziati, ingegneri quali spesso sono gli artisti digitali, non sono i più adatti a creare opere d’arte.
Questo però non accade per Leonardo. Lui si era un vero Jolly good fellow, nei confronti del quale non si fa distinzione tra i suoi disegni per l’arte e quelli per le macchine varie, considerandoli tutti come opere d’arte. Il caso di Leonardo, che l’Enciclopedia digitale Wikipedia nomina in questo ordine: scienziato, inventore e artista italiano, non è che il più eclatante, potremmo elencarne altri che hanno realizzato opere d’arte partendo da considerazioni, o studi matematici e così via.
Questo è avvenuto, restando al passato soprattutto con le opere d’arte che si sono servite degli studi della prospettiva, tra cui spiccano opere come la Città ideale di Baltimora, Berlino, Urbino, così chiamate dal luogo in cui sono custoditi, vale a dire i musei delle relative città sopranominate. Si tratta di luoghi di invenzione, utopie spazio-temporali inesistenti che oggi chiameremmo virtuali, ottenuti mettendo insieme architetture del passato e nuove nello spazio-tempo simbolico della prospettiva.
Luoghi non luoghi destinati idealmente ad animarsi, quindi siti proiettivi di futuro, un luogo immaginato come proposta di una vita alternativa ancora da compiersi, insomma una sorta di Metaverso d’altri tempi. Opere la cui autorialità è ancora in discussione tra gli architetti Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio Martini e il pittore Piero della Francesca che naturalmente impiegano la prospettiva in maniera differente.
Tornando oggi all’arte digitale scopriamo che regola e caso sono centrali nella realizzazione di opere e che gli algoritmi funzionano, o vengono fatti funzionare tenendo insieme le due cose.
Un artista non digitale che lavora anche con la regola e il caso è Damien Hirst con i “Dot paintings”, quadri ottenuti dipingendo cerchietti regolari sulla tela e gli “Spin paintings” quadri circolari risultati dal colaggio casuale di una macchina rotante che spande il colore di cui non vengono contestati né il valore artistico, né l’autorialità.
E qui tornano di nuovo anche le GAN sistemi di apprendimento automatico basati sull’elaborazione antagonista, per cui, se ad esempio vengono immesse migliaia di foto di facce la macchina le memorizza, ma lavorando anche contro di esse (adversial), ne crea di nuovi diversi, in quanto “copie differenti”. Quindi aggiunge parzialmente del suo, producendo immagini che possono essere considerate o meno come opere d’arte.
A questa fase iniziale ad oggi si sono aggiunti dei sistemi più avanzati tipo Midjourney, o DALL-E che generano immagini a partire da una o più parole che noi immettiamo andandole a cercare anche in internet e processandole in nuove immagini, più pittoriche il prime, più fotografiche il secondo.
Per l’arte moderna e soprattutto contemporanea conosciuta fino ad oggi è il cosiddetto sistema dell’arte composto da critici, curatori, galleristi, direttori di museo, collezionisti, case d’asta, … a decidere cos’è arte, o chi è un artista, ma la digital aesthetics sta mettendo in discussione tutto ciò, in quanto si riferisce a un pubblico-mondo molto più esteso.
Quindi l’arte si sta avviando verso un sistema di riferimento e decisionale molto più aperto che il sistema dell’arte attuale non può continuare a ignorare, pena la morte dell’arte per mancanza di innovazione e aggiornamento casuale o meno che sia e allora sì che non potremmo più cantare vittoria con:
For he’s a jolly good fellow
And so say all of us!
A cura di Giacinto Di Pietrantonio