Uno studio dell’Università di Basilea solleva dubbi sul modo in cui molti produttori di giochi per bambini raccolgono dati, senza rendere chiare ai genitori queste procedure. Alcuni dispositivi registrano “silenziosamente” ogni movimento del bimbo e ogni sua scelta, e poi inviano le informazioni all’azienda.
Hanno nomi facili e simpatici come Pictionary, Tiptoi, Camera, Tamagotchi, Osmo, e sono giochi interattivi e intelligenti, grazie al collegamento a Internet, molto amati dai bambini. Per esempio, permettono di ascoltare una fiaba inserendo una figura di Peppa Pig nell’apposita forma, oppure di sentire una canzone schiacciando un tasto o, ancora, di andare avanti e indietro in una storia semplicemente premendo verso sinistra o destra una tastiera.
Ma come vanno considerati dal punto di vista della privacy, per utenti che spesso hanno pochissimi anni? Che ne è della loro sicurezza digitale, dal momento che gli smart toys (questo il nome dato alla categoria) sono connessi alla rete?
Se lo sono chiesti i ricercatori dell’Università di Basilea, guidati dalla professoressa Isabel Wagner del Dipartimento di matematica e informatica, che hanno eseguito un’indagine su 12 giochi tra i più popolari: Tiptoi, appunto (una penna intelligente), o il Tamagotchi (il famoso animale da compagnia virtuale), o Edurino (una app per apprendere), oppure Moorebot (un robot con telecamera e microfoni integrati), o Kidibuzz, uno smartphone con controllo parentale.
Di tutti hanno verificato il rispetto della normativa europea EU General Data Protection Regulation, l’accessibilità dei dati, la crittografia (cioè il fatto di rendere i dati accessibili solo a chi possiede i codici giusti), la trasparenza (la possibilità, per gli utenti, di risalire a quanto registrato su di loro). Come hanno poi riferito durante il Forum annuale sulla privacy 2024, organizzato dall’Unione Europea il 4 e 5 settembre a Karlstad (Svezia), ciò che hanno scoperto è una realtà abbastanza inquietante.
Per citare due giochi, «né la Toniebox, né la stazione di ricarica Tiptoi - scrivono i ricercatori sul sito dell’Università di Basilea - se la cavano bene in termini di sicurezza, perché non crittografano in modo sicuro il traffico dati. I due giocattoli differiscono, invece, per quanto riguarda la privacy: mentre la Toniebox raccoglie dati e li invia al produttore, la penna Tiptoi non registra come e quando un bambino la usa. Vengono scaricati solo i file audio utilizzati».
Smart toys e intelligenza artificiale
Altri giochi, che integrano il programma di intelligenza artificiale generativa Chat-GPT, raccolgono i dati ma poi, dopo averli condivisi con il produttore, li cancellano, anche se questo, di per sé, non garantisce sicurezza. Restano infine ulteriori dubbi: «Anche se il Toniebox fosse utilizzato offline - ipotizza la professoressa Wagner - e connesso a Internet solo temporaneamente durante il download di nuovi contenuti audio, il dispositivo potrebbe archiviare i dati raccolti localmente e trasmetterli al produttore alla prima occasione».
Dal canto loro le aziende affermano di raccogliere questi dati solo per ottimizzare i giochi (ad esempio i programmi di riconoscimento vocale), ma per gli utenti la questione è molto meno chiara. Fra l’altro - scrivono i ricercatori - non si capisce perché le app che accompagnano i giochi chiedano spesso, per non dire sempre, la geolocalizzazione o l’accesso al microfono. C’è quindi necessità, come minimo, di regole più chiare e stringenti, che pongano la sicurezza dei bambini e la tutela della loro privacy al centro del funzionamento del gioco.
Un’etichetta con gli “ingredienti” per la raccolta dati
Inoltre, aggiungono gli studiosi di Basilea, sarebbe molto utile che questo tipo di giochi recasse sulla confezione un’etichetta con gli “ingredienti” (un po’ come avviene per i cibi), in cui il produttore è chiamato a specificare come viene gestito il trattamento dei dati, quello della privacy e così via. In tale modo i genitori potrebbero avere tutti gli elementi per scegliere liberamente se mettere a contatto i figli con i vari dispositivi, perché oggi, di fatto, non possono decidere con cognizione di causa.
Tutto ciò è necessario - concludono i ricercatori - anche per non creare disuguaglianze sociali. Alcuni genitori più istruiti potrebbero infatti gestire senza difficoltà i dati dei figli, o scegliere solo giochi sicuri, mentre altri potrebbero non essere in grado di farlo, esponendo così in modo del tutto involontario i bimbi a rischi non irrilevanti. Infine, c’è una questione relativa allo sviluppo psicologico di bambini che, in qualche modo, sono sottoposti a sorveglianza costante. Nessuno sa che cosa ciò possa fare alle loro menti in evoluzione.
I dati completi dello studio verranno pubblicati nel prossimo numero della rassegna Privacy Technologies and Policy, edita da Springer.