I robot, anche quelli più sofisticati, non riescono mai a essere ultrarapidi, e non si avvicinano neppure minimamente allo “scatto” degli esseri viventi più veloci. I quali – è noto – sono anche i più piccoli. Tra questi ci sono, per esempio, alcune specie di gamberetti, che con i loro organi buccali (l’equivalente della bocca negli organismi più avanzati) sferrano colpi alla velocità di circa 110 chilometri all’ora, o certe specie di formiche, le cui mandibole possono muoversi a 210 chilometri all’ora, in meno di un millisecondo, per catturare la preda. Ma anche le idre (minuscoli organismi marini) sanno essere ultraveloci, quando “sparano” le loro microscopiche capsule di veleno: l’accelerazione è di 100 volte superiore a quella di un proiettile. Ora, però, uno studio matematico pubblicato sulla rivista Science comincia a fare luce sui segreti dell’eccezionale velocità di questi animaletti e, in tal modo, fornisce informazioni preziose anche per la realizzazione di robot che possano diventare più rapidi nelle loro azioni.
A condurre lo studio è stata un’équipe della Duke University di Durham (Stati Uniti). I ricercatori hanno scoperto, per esempio, che a creare la super rapidità non sono tanto i muscoli, ma tessuti che agiscono come molle, pronte a scoccare come un arco nelle mani di un arciere: in particolare, tendini flessibili, cuticole performanti e strutture elastiche, che nel loro insieme funzionano come vere e proprie fionde biologiche. Impietosi i confronti con le capacità umane: se una persona avesse le caratteristiche di alcuni tipi di insetti, per esempio, potrebbe saltare un’estensione pari a quella di due campi di calcio con un solo balzo.
Ci sono moltissimi dettagli cruciali ancora da chiarire, perché gli attuali modelli matematici non sono adeguati per descrivere i movimenti elastici, singolarmente e nel loro insieme. Ma i dati relativi a 104 specie di piante e animali superveloci, raccolti finora, possono aiutare a elaborare un modello anche per robot miniaturizzati più rapidi.