Thomas Curran è uno psicologo sociale che da anni studia gli effetti del perfezionismo negli studenti americani, canadesi e britannici. E i resoconti clinici che sta raccogliendo sono piuttosto allarmanti. Tra i giovani il perfezionismo sta assumendo le proporzioni di una vera e propria malattia sociale, che li espone a una serie di difficoltà psicologiche come depressione, ansia, anoressia, bulimia e persino idee suicide.
Cosa sta accadendo? Secondo Curran, questo fenomeno dipende molto da come siamo stati educati e, soprattutto, da come educhiamo i nostri figli. Non a caso, “è l’istruzione la prima arena in cui la misurazione è utilizzata pubblicamente per migliorare continuamente standard e prestazioni”.
Ma fuori dall’istituzione scolastica, le cose non vanno meglio. Tutt’altro.
“Sulle onnipresenti piattaforme di social media – Instagram, Facebook, Snapchat – e nella nuova cultura visiva in cui siamo immersi, l’apparenza della perfezione è molto più importante della realtà”.
Questi fenomeni sociali sono una diretta emanazione dei nostri più radicati sistemi di credenze.
Prendiamo l’idea al centro del sogno americano: niente è irraggiungibile per coloro che lo vogliono davvero. Che ha come corollario l’idea che il duro lavoro paga sempre. E soprattutto, l’idea che siamo capitani del nostro destino.
Tutte queste convinzioni – se assolutizzate – collegano la nostra ricchezza, il nostro status e la nostra immagine con il nostro innato valore personale. E spingono incessantemente a cercare di adeguarsi a modelli che, molto spesso, sono semplicemente irraggiungibili.
Ma come si riconosce il perfezionismo? Curran ne distingue di tre tipi.
Il primo è il perfezionismo auto-orientato, il desiderio irrazionale di essere perfetto: “Mi sforzo di essere il più perfetto possibile”.
Il secondo è il perfezionismo socialmente prescritto: “Sento che gli altri sono troppo esigenti nei miei confronti”.
E il terzo è il perfezionismo orientato agli altri, l’imposizione di standard non realistici su altre persone: “Se chiedo a qualcuno di fare qualcosa, mi aspetto che sia fatto alla perfezione”.
In tutti i casi, quello che il perfezionismo non ci dice è che ci trascina in un vortice di dipendenza senza fine:
“Subito dopo aver raggiunto un vertice, saremo chiamati di nuovo dall’insicurezza e dalla vergogna a cercare di ridimensionare quel picco. Questo è il ciclo di auto-sconfitta. Nella continua ricerca della perfezione irraggiungibile, un perfezionista non può più scendere. Ed è il motivo per cui è così difficile da trattare”.
Ma se le cose stanno così, c’è speranza? Certo che c’è, ci dice Curran. I genitori e gli adulti possono aiutare i ragazzi sostenendoli incondizionatamente quando provano e falliscono, senza affrontare i successi e i fallimenti dei figli come se fossero i loro.
E forse per tutti è giunto il momento di cominciare a guardare le cose da una prospettiva più umana.
“Quando capiremo che c’è qualcosa di fondamentalmente disumano nella perfezione senza limiti? Nessuno è impeccabile. Per aiutare i nostri giovani a sfuggire alla trappola del perfezionismo, dovremo insegnare loro che in un mondo caotico, la vita ci sconfiggerà spesso. Ma va bene così.”
Dobbiamo invitare i nostri giovani a celebrare le gioie e le bellezze dell’imperfezione come una parte normale e naturale della vita quotidiana e dell’amore. Che sono comunque imprevedibili e non saranno mai sotto il nostro completo controllo.