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Paolo Rossi Castelli25 nov 20192 min read

Il Parkinson? Nasce nel cervello, ma anche nell’intestino

La malattia di Parkinson potrebbe essere molto più complessa di quanto ritenuto finora e, soprattutto, potrebbero esistere diversi sottotipi. Se così fosse, ogni paziente andrebbe valutato singolarmente, e per ciascuno andrebbe messa a punto una strategia terapeutica personalizzata.

Il punto della situazione su questa patologia, tuttora in parte misteriosa e “controversa”, arriva da una review (una rassegna) degli studi disponibili pubblicata sul Journal of Parkinson Disease da Per Borghammer e Nathalie Van Den Berge, due ricercatori dell’Università di Aarhus, in Danimarca, che hanno passato al vaglio i dati più recenti, ottenuti da numerose équipe internazionali tramite indagini di imaging (risonanza magnetica e altri esami), ma anche con valutazioni di frammenti di tessuto, prelevati dal cervello di esseri umani e di animali colpiti dalla malattia.

Negli ultimi anni – scrivono i ricercatori danesi – è emersa con sempre maggiore intensità l’ipotesi che il Parkinson possa avere origine da aggregazioni di una forma alterata della proteina alfa-sinucleina (una proteina molto importante per l’organismo), che si formano non nel cervello, come si era sempre pensato, ma nel sistema nervoso dell’intestino (e da lì risalgono e si accumulano nel cervello, attraverso i fasci del nervo vago, distruggendo le cellule chiamate dopaminergiche). Tuttavia, stando a quanto si è osservato soprattutto nelle autopsie, tale ipotesi non si adatta a tutti i malati, ed è quindi possibile che vi siano almeno due grandi famiglie di questa patologia: quella del Parkinson che ha effettivamente origine nell’innervazione dell’intestino (chiamata gut-first) e dunque provoca inizialmente danni al sistema nervoso periferico; e una seconda “famiglia”, definita brain-first, in cui l’origine del Parkinson è invece nel cervello, per poi passare ai fasci nervosi dell’intestino e di altre zone periferiche.

Se verrà confermata questa duplice origine, diventerà più facile trovare una giusta collocazione diagnostica e terapeutica, per i diversi tipi di pazienti. Non solo. Si potrà “mirare” meglio la ricerca, nel tentativo di comprendere che cosa faccia innescare la malattia inizialmente a livello periferico (oltre all’intestino, anche le mucose nasali sembrano essere una possibile sede dei primi danni) oppure, al contrario, a livello centrale, e di definire programmi di cura specifici, per frenarla sul nascere. Ad esempio, nel caso del gut-first, si potrebbero studiare antinfiammatori ad hoc, ma anche terapie come il trapianto di feci, o particolari  probiotici. Secondo le ultime stime, la malattia di Parkinson (che è la seconda patologia neurodegerativa correlata all’età più diffusa, dopo l’Alzheimer), colpisce il 3% della popolazione con più di 65 anni e fino al 5% di quella degli over 85.

 
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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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