Studio di un’ équipe internazionale sugli effetti delle “estati di fuoco” in Australia. Le ceneri liberate nell’aria dalla combustione degli alberi diventano nutrimento per il fitoplancton sulla superficie del mare.
I gravissimi incendi che hanno flagellato l’Australia nelle estati del 2019 e del 2020 hanno quasi certamente provocato – oltre ai disastri ambientali di enormi dimensioni e alle numerose vittime – anche un imprevisto effetto positivo, almeno nell’emisfero Sud della Terra.
Secondo le rilevazioni del sistema Argo (satelliti e boe marine), infatti, le forti quantità di particelle liberate nell’atmosfera dalla combustione degli alberi e degli altri vegetali, molto ricche di ferro e azoto, sono state trasportate dai venti e depositate su alcune vaste aree oceaniche a migliaia di chilometri di distanza, in particolare quelle comprese fra la Nuova Zelanda e l’America del Sud, “fertilizzandole”.
L’arrivo delle ceneri ha così favorito la proliferazione di grandi quantità di fitoplancton (quell’insieme di vegetali microscopici, come i cianobatteri e certi tipi di alghe, che vivono sulla superficie dell’acqua e che costituiscono un alimento essenziale per i pesci). È stata una fioritura abnorme, di dimensioni mai viste, hanno scritto sulla rivista scientifica Nature i ricercatori della Duke University (Stati Uniti) e di altri centri australiani e britannici, che hanno elaborato i dati grazie anche al Supercomputing Center di Barcellona.
Questo studio - scrive la Duke University in un comunicato stampa - è il primo a collegare in modo definitivo una risposta su larga scala della vita marina alla fertilizzazione mediante aerosol (micro-particelle) di sostanze prodotte dal fuoco di un incendio.
Ma non basta: secondo i ricercatori, il fitoplancton potrebbe avere assorbito, a sua volta, quasi tutta l’anidride carbonica (circa il 95%) prodotta in eccesso proprio dagli incendi, e stimata in 715 milioni di tonnellate tra il novembre 2019 e il gennaio 2020 (per avere un termine di paragone, la CO2 prodotta in un anno da tutte le attività umane in Australia è pari a circa 530 milioni di tonnellate).
Nuovi possibili rimedi
Ma, a questo punto, è possibile utilizzare queste informazioni per migliorare la gestione dei gas serra, in particolare la CO2 e trovare nuovi rimedi? Da molti anni, in verità, si cerca di studiare la cosiddetta fertilizzazione del mare come possibile soluzione all’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera, proprio perché i microrganismi che formano il plancton sono in grado di convertire il carbonio della CO2 e l’acqua in carboidrati, grazie alla fotosintesi, liberando ossigeno nell’aria.
L’idea di cospargere sul mare grandi quantità di ferro e di altri minerali che possano favorire il fenomeno, tuttavia, è sempre stata controversa, perché se da una parte rappresenta, almeno a livello teorico, un rimedio efficace, dall’altra si temono effetti difficili da controllare, come l’alterazione dei normali equilibri della biomassa marina, proprio per l’immissione in mare di grandi quantità di elementi quali il ferro. I devastanti incendi australiani, se non altro, hanno offerto la possibilità di studiare questi fenomeni sul campo.
Dubbi sulla CO2 “restituita”
Non è però ancora chiaro se una parte della CO2 eliminata dal fitoplancton venga poi in qualche modo “restituita” a causa dei normali processi metabolici dei microrganismi. “Dovremo avviare nuovi studi per chiarirlo – ha detto Nicolas Cassar, professore di biogeochimica alla Duke University. – Sarà questa la nostra prossima sfida”.