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Paolo Rossi Castelli22 lug 20192 min read

“Indistruttibili” le muffe della stazione spaziale

Le muffe, organismi più vicini all’uomo di quanto non siano i batteri (anche se può apparire strano), sono incredibilmente “robuste”, al punto che alcune specie (indesiderate), presenti sulle pareti interne ed esterne delle navicelle spaziali, resistono all’attacco di radiazioni a dosi anche 200 volte superiori rispetto a quelle che sarebbero fatali per l’uomo. Lo hanno scoperto i microbiologi del German Aerospace Center di Colonia, che hanno simulato le condizioni della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), sottoponendo le pareti esterne a radiazioni molto concentrate. I risultati di questo studio sono stati presentati al congresso “2019 Astrobiology Science Conference”, organizzato dall’American Geophysical Union a Bellevue, negli Stati Uniti.

I ricercatori hanno puntato l’attenzione sulle spore di due tra le più comuni specie di muffe, quelle del genere Penicillium e quelle del genere Aspergillum, sempre presenti nell’ISS nonostante le assidue operazioni quotidiane di pulizia da parte degli astronauti (le spore sono cellule riproduttrici, in grado di rimanere “silenti” anche a lungo e di dare poi vita a nuove muffe – che, lo ricordiamo, sono un tipo di funghi). Queste muffe non sono pericolose per l’uomo, di solito, ma, se presenti in quantità abbondanti, possono causare allergie, reazioni respiratorie e patologie di vario tipo in persone con un sistema immunitario indebolito.

Gli studiosi tedeschi hanno applicato alle spore raggi X fino a 1.000 Gray (unità che misura le radiazioni ionizzanti assorbite; il limite letale per l’uomo è di 5 Gray). In più, hanno attivato radiazioni ionizzanti fino a 500 Gray, con ioni pesanti (la dose oltre la quale iniziano le patologie da radiazioni nell’uomo è 0,5 Gray). Infine, hanno esposto le spore a raggi ultravioletti simili a quelli presenti nello spazio (e non sulla Terra) fino a 3.000 joules per metro quadrato (una quantità “impossibile” per gli esseri umani), e hanno dimostrato che le spore, nonostante tutto, sopravvivevano. Dunque, l’elevatissima “quantità” di radiazioni non è sembrata capace di creare gravi danni al materiale genetico, come invece accade a quasi tutti gli altri organismi, se vengono sottoposti a questi trattamenti.

Dato che un viaggio fino a Marte durerà circa 180 giorni (durante i quali l’equipaggio verrà esposto – è stato calcolato – a 0,7 Gray), e che durante questo lungo cammino le pareti esterne dei veicoli spaziali saranno sottoposte a un bombardamento di radiazioni sicuramente inferiore a quello sperimentato al German Aerospace Center, è possibile affermare che le spore arriveranno intatte, probabilmente, sul Pianeta Rosso, e questo potrà creare conseguenze negative al nuovo ambiente in cui approderanno. A tale proposito i ricercatori tedeschi hanno suggerito di creare protocolli di “protezione” progettati per ridurre al minimo il rischio che i veicoli spaziali in partenza dalla Terra arrivino a contaminare altri pianeti del nostro sistema solare.

Ora i test proseguiranno per verificare la resistenza delle spore alla microgravità, al vuoto, al freddo (altre condizioni specifiche dei veicoli spaziali), e alle combinazioni di tali parametri, che durante i viaggi nello spazio variano moltissimo, rispetto a quello che avviene sulla Terra.

L’estrema “resistenza” delle muffe, comunque, non è, di per sé, una situazione negativa: muffe e lieviti, infatti, sono usati già oggi per produrre vitamine, farmaci e altre molecole di vario tipo. Nello spazio, anche grazie alla loro eccezionale capacità di sopravvivere, potrebbero diventare mini “fabbriche” biologiche, in grado di assicurare molecole preziose agli astronauti e a chi dovesse effettuare lunghi viaggi spaziali.

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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