Le muffe, organismi più vicini all’uomo di quanto non siano i batteri (anche se può apparire strano), sono incredibilmente “robuste”, al punto che alcune specie (indesiderate), presenti sulle pareti interne ed esterne delle navicelle spaziali, resistono all’attacco di radiazioni a dosi anche 200 volte superiori rispetto a quelle che sarebbero fatali per l’uomo. Lo hanno scoperto i microbiologi del German Aerospace Center di Colonia, che hanno simulato le condizioni della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), sottoponendo le pareti esterne a radiazioni molto concentrate. I risultati di questo studio sono stati presentati al congresso “2019 Astrobiology Science Conference”, organizzato dall’American Geophysical Union a Bellevue, negli Stati Uniti.
I ricercatori hanno puntato l’attenzione sulle spore di due tra le più comuni specie di muffe, quelle del genere Penicillium e quelle del genere Aspergillum, sempre presenti nell’ISS nonostante le assidue operazioni quotidiane di pulizia da parte degli astronauti (le spore sono cellule riproduttrici, in grado di rimanere “silenti” anche a lungo e di dare poi vita a nuove muffe – che, lo ricordiamo, sono un tipo di funghi). Queste muffe non sono pericolose per l’uomo, di solito, ma, se presenti in quantità abbondanti, possono causare allergie, reazioni respiratorie e patologie di vario tipo in persone con un sistema immunitario indebolito.
Gli studiosi tedeschi hanno applicato alle spore raggi X fino a 1.000 Gray (unità che misura le radiazioni ionizzanti assorbite; il limite letale per l’uomo è di 5 Gray). In più, hanno attivato radiazioni ionizzanti fino a 500 Gray, con ioni pesanti (la dose oltre la quale iniziano le patologie da radiazioni nell’uomo è 0,5 Gray). Infine, hanno esposto le spore a raggi ultravioletti simili a quelli presenti nello spazio (e non sulla Terra) fino a 3.000 joules per metro quadrato (una quantità “impossibile” per gli esseri umani), e hanno dimostrato che le spore, nonostante tutto, sopravvivevano. Dunque, l’elevatissima “quantità” di radiazioni non è sembrata capace di creare gravi danni al materiale genetico, come invece accade a quasi tutti gli altri organismi, se vengono sottoposti a questi trattamenti.
Dato che un viaggio fino a Marte durerà circa 180 giorni (durante i quali l’equipaggio verrà esposto – è stato calcolato – a 0,7 Gray), e che durante questo lungo cammino le pareti esterne dei veicoli spaziali saranno sottoposte a un bombardamento di radiazioni sicuramente inferiore a quello sperimentato al German Aerospace Center, è possibile affermare che le spore arriveranno intatte, probabilmente, sul Pianeta Rosso, e questo potrà creare conseguenze negative al nuovo ambiente in cui approderanno. A tale proposito i ricercatori tedeschi hanno suggerito di creare protocolli di “protezione” progettati per ridurre al minimo il rischio che i veicoli spaziali in partenza dalla Terra arrivino a contaminare altri pianeti del nostro sistema solare.
Ora i test proseguiranno per verificare la resistenza delle spore alla microgravità, al vuoto, al freddo (altre condizioni specifiche dei veicoli spaziali), e alle combinazioni di tali parametri, che durante i viaggi nello spazio variano moltissimo, rispetto a quello che avviene sulla Terra.
L’estrema “resistenza” delle muffe, comunque, non è, di per sé, una situazione negativa: muffe e lieviti, infatti, sono usati già oggi per produrre vitamine, farmaci e altre molecole di vario tipo. Nello spazio, anche grazie alla loro eccezionale capacità di sopravvivere, potrebbero diventare mini “fabbriche” biologiche, in grado di assicurare molecole preziose agli astronauti e a chi dovesse effettuare lunghi viaggi spaziali.