Importante ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Nature. Una mutazione del DNA provoca il cattivo funzionamento di una proteina (TLR7), che a sua volta innesca errori del sistema immunitario.
Una bambina spagnola di nome Gabriela qualche anno fa ha ricevuto una diagnosi non gradita: lupus eritematoso sistemico, una patologia autoimmune che colpisce il tessuto connettivo di molti organi, compromettendo la qualità della vita in modo a volte anche pesante. Contro questa malattia viene utilizzata quasi soltanto una terapia basata sull’immunosoppressione generalizzata (un freno di tutto il sistema immunitario), che può comportare, nel tempo, numerosi effetti collaterali.
Nuove scoperte sul Lupus
Oggi e in futuro, però, Gabriela, ormai adolescente, sarà probabilmente ricordata per elementi più positivi, perché grazie a un’approfondita indagine del suo codice genetico le conoscenze sul lupus e gli approcci terapeutici potrebbero essere finalmente a una svolta.
Un team internazionale di ricercatori, coordinati da Carola Vinuesa, principal investigator del Centre for Personalised Immunology dell’Australian National University e responsabile anche di un laboratorio del Francis Crick Institute di Londra, ha infatti pubblicato sulla rivista scientifica Nature i risultati dello studio del DNA della ragazza, che ha permesso di individuare in una particolare mutazione genetica il fattore capace di innescare la malattia.
I test sono stati ripetuti poi anche su altri malati appartenenti a tre diverse famiglie, ottenendo risultati analoghi a quelli di Gabriela, e sono stati confermati anche da esami su animali da laboratorio in cui era stata indotta la stessa mutazione.
Il gene mutato è quello che “produce” una proteina del sistema immunitario, chiamata Toll-like Receptor 7 o TLR 7, e già “sospettata” di avere un ruolo decisivo anche in altre patologie autoimmuni. Questa proteina appartiene a una famiglia di molecole scoperta dal biologo lussemburghese Jules Hoffmann e dall’americano Bruce Beutler, che hanno condiviso il premio Nobel per la medicina nel 2011.
Un’iperattività pericolosa
Se vogliamo entrare nei dettagli, la mutazione fa sì che, per errore, la proteina TLR7 diventi più attiva. Questa iperattività, a sua volta, fa aumentare la sensibilità di alcuni tipi di linfociti B e T del sistema immunitario, aumentando la probabilità che questi “poliziotti” dell’organismo identifichino erroneamente il tessuto sano come estraneo e, per questo, scatenino un attacco, al fine di distruggerlo.
La scoperta della mutazione di TLR7 spiegherebbe anche perché l’incidenza della malattia sia nove volte più alta nelle donne rispetto agli uomini: il gene si trova sul cromosoma X, presente in due copie nelle donne (gli uomini, invece, hanno il cromosoma Y, e un solo X). Di norma, nelle donne uno dei cromosomi X rimane inattivo, per evitare duplicazioni e danni, ma il “silenziamento” non sempre funziona bene. In questi casi, l’effetto della mutazione di TLR7 si moltiplica per due e facilita l’insorgenza della malattia.
Lupus: si aprono le porte per nuove terapie
Se il ruolo di TLR 7 mutato sarà confermato anche da altri test su un numero più ampio di pazienti, diventerà possibile studiare nuove terapie mirate e specifiche: i ricercatori ne sono convinti, e stanno già lavorando con alcune aziende farmaceutiche. Ma non basta. Le nuove scoperte sul lupus potrebbero risultare utili - spiegano i ricercatori - anche per affrontare malattie autoimmuni che condividono diversi aspetti con questa patologia, quali l’artrite reumatoide e le altre patologie reumatiche o le dermatomiositi.
Toccante, infine, il commento della stessa Gabriela: «Spero che questa scoperta - ha detto - dia speranza alle persone con il lupus, e le faccia sentire meno sole, mentre affrontano questa battaglia. Spero anche che la ricerca possa andare avanti fino a sfociare in un trattamento specifico per i tanti guerrieri che soffrono di questa malattia"