Nel mondo circa 100 milioni di persone vengono infettate ogni anno dal batterio Chlamydia trachomatis, che si trasmette attraverso i rapporti sessuali e colpisce in prevalenza le donne. Nella maggior parte dei casi provoca disturbi leggeri, ma – se non viene riconosciuto e trattato – può indurre problemi anche seri, come la malattia infiammatoria pelvica (nelle giovani donne, appunto), con rischio di sterilità, oppure complicazioni durante la gravidanza e nel momento del parto (infezioni ai polmoni e agli occhi del neonato).
Finora l’impiego degli antibiotici, pur efficaci, e la disponibilità di test per la diagnosi non hanno portato a un rallentamento della diffusione che, al contrario, è in aumento (la maggior parte dei casi resta asintomatica e, per questo, il numero delle persone contagiate è probabilmente superiore a quei 100 milioni annui). Secondo alcune stime, la Clamidia è, anzi, l’infezione sessuale più diffusa al mondo.
Ma un nuovo vaccino (il primo a essere arrivato alla sperimentazione sugli esseri umani, senza fermarsi – com’era avvenuto finora – ai laboratori e ai testi sugli animali) promette di offrire un nuovo strumento terapeutico, come già sta accadendo per il papillomavirus, un’altra infezione sessuale, oggi in calo grazie ai vaccini. Il nuovo farmaco contro la Clamidia, chiamato per ora solo con la sigla CTH522, è stato messo a punto dagli infettivologi dell’Imperial College di Londra e dello Statens Serum Institut di Copenhagen (Danimarca), con i finanziamenti della Commissione Europea e del Fondo danese per l’innovazione. I risultati della sperimentazione sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Lancet Infectious Diseases.
Il vaccino, sperimentato con risultati più che incoraggianti su 35 volontarie sane, è stato realizzato partendo da una proteina presente sulla membrana esterna del batterio Chlamydia trachomatis (che è apparsa in grado di stimolare una buona risposta immunitaria), con una formulazione in due “versioni”: una, sotto forma di liposomi (minuscole goccioline di grasso che penetrano molto bene nei tessuti); l’altra, con l’aggiunta di sali di alluminio, noti per stimolare la reazione del nostro sistema difensivo. Le donne, tutte prive (naturalmente) di Clamidia, sono state vaccinate – tramite iniezioni nel braccio e “puff” nasali – con uno dei due tipi di CTH522, oppure con un placebo, e alla fine è emerso che il vaccino, in entrambe le formulazioni, ha suscitato una potente risposta immunitaria nel 100% delle donne trattate, mentre il placebo non ne ha innescata neppure una. Inoltre la formulazione con i liposomi si è rivelata 5,6 volte più efficace, rispetto all’altra. Non sembrano esserci, infine, effetti collaterali degni di nota. Queste erano le risposte che si sperava di ottenere, e anche se il numero delle volontarie era piccolo, i dati autorizzano a procedere alla fase successiva (chiamata, appunto, fase 2), che permette di valutarne direttamente l’efficacia (non basta, infatti, che un vaccino induca una risposta immunitaria: occorre che questa “mobilitazione” porti poi a risultati concreti contro i batteri). Nuove sperimentazioni con la forma liposomiale partiranno nei prossimi mesi.