Nella sua opera più famosa, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” (1962 e 1969), il filosofo Thomas Kuhn analizza la storia della scienza e le varie implicazioni presenti in tutti gli ambiti della ricerca.
Secondo la visione di Kuhn, lo sviluppo scientifico ha tre attori principali:
Il paradigma, ovvero un complesso di principi, procedimenti metodologici e concezioni culturali universalmente riconosciuti, che fa da riferimento al lavoro della “comunità scientifica” di una determinata epoca. La comunità scientifica è costituita da scienziati che, possedendo il medesimo paradigma, condividono la stessa visione etica, i criteri di giudizio, i modelli interpretativi, i metodi e le soluzioni per risolvere i problemi e ritengono necessario che i loro successori siano educati in base agli stessi contenuti e valori.
La scienza normale, ovvero una fase in cui gli scienziati appaiono impegnati a consolidare, confermare e sviluppare i paradigmi vigenti tramite la soluzione di contraddizioni e “rompicapo” che man mano si presentano. Kuhn ritiene che la scienza normale entri in crisi per una serie di “anomalie”, ossia di eventi nuovi e insospettati, che gli scienziati cercano più o meno faticosamente di adattare dentro “le caselle prefabbricate e relativamente rigide” fornite dal paradigma vigente. Ma queste azioni, ripetute nel tempo, portano a indebolire dall’interno il vecchio sistema, fino a produrre una vera e propria crisi.
La rottura rivoluzionaria, ovvero il momento in cui si arriva una vera e propria svolta che comporta l’abbandono del vecchio paradigma e l’avvento di una nuova maniera di considerare il mondo. Gli scienziati, di fronte ai molteplici problemi che non riescono a risolvere con l’applicazione di un determinato paradigma, mettono in dubbio i principi fino a quel momento seguiti e accettati come “dogmi”, e vanno alla ricerca di un paradigma nuovo. Bisogna quindi ripensare tutto: concetti-base, metodi, problemi.
“Quando mutano i paradigmi, il mondo stesso cambia con essi. Guidati da un nuovo paradigma, gli scienziati adottano nuovi strumenti e guardano in nuove direzioni. Ma il fatto ancora più importante è che, durante le rivoluzioni, gli scienziati vedono cose nuove e diverse anche guardando con gli strumenti tradizionali nella stessa direzione in cui avevano guardato prima. E’ quasi come se la comunità degli specialisti fosse stata improvvisamente trasportata su un altro pianeta dove gli oggetti familiari fossero visti sotto una luce differente e venissero accostati a oggetti insoliti”.
Successivamente Kuhn ha definito il paradigma anche come una “matrice disciplinare”, suddivisa in 4 settori: generalizzazioni simboliche, credenze metafisiche, giudizi di valore su teorie, soluzioni di rompicapo impiegate come modelli o esempi.
In questo modo Kuhn recupera una prospettiva di progresso scientifico, che però deve essere sempre rapportata a una situazione concreta e ha una sua validità circoscritta all’interno di una pratica ben definita. Le nozioni classiche di miglioramento e sviluppo possono essere quindi gestite solo in campi particolari.
La visione di Kuhn è ancora quanto mai attuale e pone agli scienziati un compito affascinante: costruire criteri precisi per valutare se una conoscenza nuova accresca o meno il patrimonio collettivo accumulato nella memoria storica della pratica scientifica.