Tecnica sperimentale ideata negli USA. Abbinando la risonanza magnetica a modelli matematici, viene identificata la geometria degli accumuli di grasso nei vasi sanguigni e si riesce a predire il rischio di frammentazione.
Le placche di colesterolo e di altri grassi che si formano all’interno dei vasi sanguigni sono responsabili, come si sa, di patologie anche molto gravi, come gli infarti cardiaci e gli ictus cerebrali. Se non contrastate, infatti, nel tempo aumentano il loro volume e determinano un’infiammazione cronica, disgregandosi – in alcuni casi – e dando origine ai trombi (coaguli) e ad altri “aggregati” simili, i quali interferiscono con la normale circolazione del sangue, o addirittura la fermano del tutto.
Per cercare di individuare le placche e di misurare le loro dimensioni si utilizzano strumenti quali quelli ecografici, le risonanze magnetiche e i test che rilevano le anomalie del flusso sanguigno, come l’eco-doppler. Ma nessuna di queste tecniche riesce a fornire una visione molto precisa dell’architettura delle placche stesse, della loro composizione e della probabilità che possano andare incontro a una rottura.
Per ovviare a questi limiti, i ricercatori della Boston University (Stati Uniti), insieme a quelli della Alpert Medical School della Brown University e del Providence VA Medical Center, hanno messo a punto una risonanza avanzata, abbinandola a un’elaborazione matematica delle immagini, che negli animali da laboratorio ha dimostrato di aumentare molto la capacità diagnostica rispetto alle tecniche tradizionali.
Come conferma il Journal of Cardiovascular Magnetic Resonance, grazie a questa tecnica è possibile ricostruire tridimensionalmente le singole placche e le caratteristiche del materiale grasso, incrementando la possibilità (almeno a livello teorico) di intervenire con tempestività per limitare i danni.
Ogni placca, in effetti, ha la sua “storia”. Man mano che si forma (e determina un’aterosclerosi), viene modificata la geometria delle cellule muscolari lisce che compongono la parete interna dei vasi sanguigni. Queste cellule si infiammano sempre di più e si “disorganizzano”, andando incontro ad alterazioni che, alla fine, contribuiscono alla rottura della placca stessa e, di conseguenza, ai possibili problemi cardiovascolari.
Le variabili da considerare
Molto dipende dai diversi tipi di sostanze grasse presenti nelle placche, ma anche dalla matrice extracellulare (la sostanza, cioè, che riempie gli spazi fra le fibre muscolari) e dalle cellule del sistema immunitario, che si attivano in risposta all’infiammazione.
Di tutto ciò si può tenere conto e – combinando i dati della risonanza con quelli della composizione e dell’evoluzione delle placche stesse – è possibile formulare una previsione attendibile di ciò che potrebbe succedere, prima che sia troppo tardi.
Un’organizzazione caotica
I ricercatori hanno messo a confronto animali malati di aterosclerosi con animali sani, confermando che, mentre le cellule dei vasi sanguigni non interessate dalle placche hanno un’organizzazione regolare (lungo un asse parallelo al flusso sanguigno), quelle dove sono presenti le placche sono invece progressivamente più caotiche, seguono sempre meno la direzione parallela al sangue e arrivano, nei casi peggiori, a una disposizione perpendicolare a quella del vaso, fatto che predispone al blocco del flusso.
«Il nuovo metodo diagnostico - ribadisce James A. Hamilton, professore di fisiologia alla Boston University e coordinatore dello studio - rileva in modo univoco le regioni delle arterie a rischio di aterotrombosi, aumentando così l'accuratezza delle misurazioni e anche la valutazione dei risultati del trattamento».