Interessante studio dei ricercatori dell’Università dei Paesi Baschi. L’assottigliamento della retina, misurato con un’attrezzatura sofisticata, permette di riconoscere la malattia del Parkinson e i malati che sono più a rischio di deterioramento cognitivo.
La preoccupazione più grande, per i pazienti che ricevono una diagnosi di Parkinson o di altre malattie neurodegenerative, è quella relativa al futuro: «E adesso? Cosa mi devo aspettare, cosa mi succederà?» I neurologi, però, molto spesso non riescono a rispondere con precisione a queste domande, «perché - spiega Ane Murueta-Goyena, ricercatrice presso l’Università dei Paesi Baschi - l’evoluzione della patologia tende a essere molto varia: alcuni malati non subiscono danni particolarmente gravi nel corso degli anni, mentre altri devono affrontare la demenza, o una sedia a rotelle».
L’identificazione precoce dei malati di Parkinson che sono più a rischio di deterioramento cognitivo rappresenterebbe un vantaggio importante, perché consentirebbe di attivare con il massimo anticipo tutti gli strumenti terapeutici possibili. Una via nuova in questa direzione - secondo il team di Ane Murueta-Goyena - può essere l’analisi delle caratteristiche della retina.
Questo esame viene già utilizzato per la diagnosi del Parkinson (ed è allo studio anche per la demenza di Alzheimer), ma finora ha permesso di confermare solo l’ipotesi della malattia, non il suo andamento. I ricercatori dell’Università dei Paesi Baschi, invece, sono andati oltre, “esplorando”, come dicevamo, anche la possibilità di prevedere il peggioramento cognitivo, con risultati significativi, che sono apparsi sulla rivista scientifica Npj Parkinson’s Disease, del gruppo Nature. Ma perché proprio la retina?
Questa fondamentale membrana, sistemata nella parte posteriore dell’occhio, a diretto contatto con i nervi che veicolano le informazioni visive al sistema nervoso centrale, rappresenta una sorta di finestra sempre aperta sulle condizioni del cervello. Esaminando la retina tramite una tecnica del tutto innocua, chiamata tomografia a coerenza ottica (la stessa impiegata per seguire l’andamento di diverse patologie dell’occhio, come la maculopatia), i ricercatori baschi sono riusciti a capire chi, tra i malati, era destinato a un rapido declino cognitivo e motorio, e chi no.
Gli studiosi, in particolare, hanno valutato i dati relativi a 156 pazienti con il Parkinson e a 72 persone sane di controllo (nell’arco di sei anni, tra il 2015 e il 2021), trovando un andamento molto tipico. Inizialmente, infatti, lo spessore in uno dei punti misurati (lo strato plessiforme interno delle cellule gangliari parafoveali: questo il nome tecnico) diminuisce a una velocità doppia nei malati di Parkinson, rispetto alle persone di controllo, fino a raggiungere valori minimi. A quel punto, però, la degradazione della retina si stabilizza, e il fenomeno si inverte: nei pazienti destinati a peggiorare, l’assottigliamento della retina rallenta, mentre il danno cognitivo e quello motorio avanzano; e più il cambiamento retinico è lento, più gli altri danni sono gravi e rapidi. In un altro punto di misurazione, invece (quello delle fibre nervose retiniche peripapillari), l’assottigliamento della retina e il peggioramento del Parkinson procedono sempre di pari passo.
Secondo i ricercatori, il primo punto di misurazione, da solo o insieme al secondo, potrebbe diventare uno strumento di diagnosi precoce molto importante, soprattutto per impostare fin da subito la strategia terapeutica più adatta al singolo paziente.
La tomografia a coerenza ottica è disponibile in molti reparti di oculistica. Per questo, se i dati fossero confermati, potrebbe diventare uno strumento di diagnosi differenziale del Parkinson da consigliare al momento della diagnosi, ma potrebbe essere adatta anche agli screening di massa da proporre a tutta la popolazione, per esempio dopo una certa età.