Progetto pilota in Gran Bretagna, che riguarderà 200.000 bambini. Lo scopo è quello di diagnosticare in modo tempestivo malattie genetiche rare. Ma sono molti gli aspetti controversi ancora da risolvere.
È giusto dal punto di vista etico, e opportuno da quello scientifico, sottoporre tutti i neonati, subito dopo il parto, a un’analisi completa del DNA per scoprire con il massimo anticipo possibile eventuali patologie genetiche?
Il dibattito è aperto, e in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sono in preparazione importanti progetti, che coinvolgeranno centinaia di migliaia di bambini.
I fautori della mappatura completa del DNA sottolineano che una percentuale non piccola dei bimbi (secondo alcune stime, dal 5 al 7%) nasce con una malattia rara, curabile, o comunque ben controllabile, in molti casi, se si intervenisse precocemente. Di norma, però, nella maggior parte degli ospedali la diagnosi durante le prime ore di vita, o anche durante la gravidanza, è limitata a pochissime malattie, per via dei costi elevati e dei tempi necessari per le indagini di tipo genetico con i metodi classici.
Ma adesso tutto questo potrebbe cambiare, grazie alle tecniche note come Next Generation Sequencing, che permettono di “decifrare” interi genomi (il patrimonio genetico completo di un individuo) in poche ore, a costi accessibili. Poter disporre di tutte le informazioni genetiche alla nascita – sostengono i fautori dello screening di massa – potrebbe apportare grandi benefici e tradursi anche in risparmi non indifferenti, assicurati dal fatto di non dover poi curare disabilità e patologie nel corso della vita.
I primi studi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti
In base a questo principio, Genomics England (un’azienda creata dal Dipartimento della salute e dell'assistenza sociale britannico) ha lanciato uno studio pilota su 200.000 bambini, nell’ambito del quale saranno inizialmente controllate le anomalie associate a oltre 600 malattie rare, tutte curabili almeno parzialmente. II DNA, inoltre, verrà conservato, per permettere ulteriori indagini in futuro, come quelle sulla predisposizione ai tumori, o sull’efficacia di farmaci specifici.
Negli Stati Uniti si sta pensando di lanciare un programma analogo, inizialmente per prevenire o curare – quando possibile – le malattie rare più pericolose, ma i tempi saranno sicuramente più lunghi.
In ogni caso, come ricorda la rivista Science, i due progetti (quello americano e quello inglese) presentano significative differenze organizzative, che potrebbero avere conseguenze importanti. In Gran Bretagna, infatti, tutto è nelle mani di Genomics England, come dicevamo, un’agenzia in funzione da tempo, con criteri ben standardizzati, e ogni campione di DNA sarà prelevato, trattato e immagazzinato nello stesso modo da una rete di laboratori connessi fra loro, seguendo specifiche direttive e rispondendo a severi limiti relativi alla privacy e all’eticità di quanto proposto alle famiglie.
Negli USA, invece, ogni stato provvederà in modo autonomo, affidandosi anche, qualora lo ritenga opportuno, a strutture private, con il rischio di un moltiplicarsi di sistemi diversi di decifrazione del DNA. In questo tipo di gestione dei test, poi, anche le direttive etiche potrebbero diventare estremamente variabili.
Dibattito aperto
All’interno di questo dibattito, una parte degli esperti, in realtà, pone molti dubbi anche sull’efficacia degli stessi test, che darebbero responsi sbagliati in più di un caso su dieci, con evidenti rischi di sovradiagnosi, trattamenti inutili e ansia per i familiari. Infatti, secondo un sondaggio della rivista JAMA Pediatrics, un’ampia quota di genitori si dichiara non propensa ad accettare queste forme di screening genetico preventivo.
Dal canto loro i National Institutes of Health (NIH) statunitensi nel 2018 hanno emanato un documento in cui ribadivano che non ci sono ancora giustificazioni sufficienti per effettuare esami ad ampio raggio su tutti i bambini, perché di moltissime mutazioni non si conoscono gli effetti, e perché numerose malattie genetiche sono prive di terapie. Piuttosto, sostengono alcune associazioni americane di pazienti e di medici, bisognerebbe implementare molto meglio i test già convalidati, e favorirne la diffusione, rendendo più rapide le procedure.
I sostenitori della mappatura genetica completa dei neonati replicano a queste critiche opponendo altri numeri: in base a quanto emerso da 23 studi, per esempio, le indagini genetiche allargate hanno portato a una diagnosi precoce di malattie rare nel 36% di 1839 bambini (soprattutto neonati), con la possibilità di attivare una terapia nel 29% dei casi, alcune volte salvavita. “Il sequenziamento del genoma – conferma Science – sta diventando una nuova forma di cura per i neonati critici”.