La medicina narrativa sta acquisendo sempre più rilevanza tra i ricercatori e i medici.
Sono diversi i progetti e le associazioni che aprono nuove prospettive su questa interessante pratica clinica.
Dalla pubblicazione di The illness narratives di Arthur Kleinman nel 1988, considerato da molti l’atto di nascita della medicina narrativa, l’idea che le storie dei pazienti siano una risorsa per una medicina più efficace e più precisa ha guadagnato popolarità e interesse tra i ricercatori. Si deve a Rita Charon, docente di clinica medica alla Columbia University di New York e fondatrice del Program of Narrative Medicine, la prima teorizzazione del concetto di medicina narrativa, definita come «una pratica clinica fortificata dalla competenza narrativa, che consiste nella capacità di assorbire, metabolizzare, interpretare ed essere coinvolti dalle storie di malattia» (Charon, 2007).
Quando parliamo di medicina narrativa ci riferiamo, dunque, a una modalità di intervento clinico-assistenziale basata sull’integrazione dei diversi punti di vista di coloro che partecipano al processo di cura, attraverso la narrazione e le sue diverse forme espressive (dialoghi, metafore, biografie, autobiografie, resoconti, poesie, ecc.). L’assunto di base è che i vissuti, le visuali soggettive e i portati emotivi messi in luce dai racconti non hanno un valore aneddotico, ma euristico. Permettono di esplorare dimensioni, episodi e aspetti (della malattia e della persona) altrimenti inaccessibili. Da qui il loro valore specificamente clinico-assistenziale, come strumenti di supporto alla decisione, alla diagnosi e alle terapie.
In che modo la medicina basata sulle evidenze (EBM) e la medicina basata sulla narrazione (NBM) convivono e possono integrarsi nella pratica clinica? Secondo la definizione proposta nel 2000 da David L. Sackett, la medicina basata sulle evidenze consiste nella “integrazione delle migliori prove di efficacia clinica disponibili con l’esperienza e l’abilità del medico e i valori del paziente”.
La definizione di Sackett ci dice anche che le evidenze non possono essere calate dall’alto e applicate a ciascun paziente nello stesso modo: la medicina è scienza del particolare. Entrano in gioco l’esperienza e l’abilità del medico da una parte e i valori del paziente dall’altra. Il medico deve essere in grado di riconoscere la condizione specifica del paziente, la presenza di comorbidità, le sue esigenze e le sue capacità, ma anche le sue preoccupazioni, paure, aspettative e preferenze: insomma, tutti quei “fattori di negoziazione” che si interpongono tra l’efficacia provata di una certa terapia in un campione o in una popolazione e la sua efficacia nella pratica clinica, dove ci si trova sempre di fronte a un individuo.
«Senza l'esperienza clinica – precisa Sackett già nel 1996 in un intervento sul British medical journal – la pratica rischia di subire la tirannia delle prove scientifiche, perché anche le migliori evidenze possono essere inapplicabili o inappropriate per il singolo paziente. Senza utilizzare i migliori risultati della ricerca clinica, la pratica rischia di divenire rapidamente obsoleta, a danno del paziente. Nessuna delle due, da sola, è sufficiente».
Pertanto, i due approcci non sono modalità alternative di praticare la medicina: le prove di efficacia rispondono alla necessità di risolvere problemi terapeutici; la narrazione risponde alla necessità di comprendere.
L’innovazione digitale può facilitare il dialogo tra medico e paziente: i nuovi strumenti aiutano la co-creazione di spazi relazionali condivisi, protetti, personalizzati e raggiungibili ovunque, da chiunque.
Digital Narrative Medicine (DNM), start-up italiana senza scopo di lucro nata con questa finalità, ha creato il DNMLAB, una piattaforma digitale progettata per narrazioni guidate dai pazienti durante il percorso di cura. All’inizio del 2022 sono stati pubblicati due studi pilota sulla fattibilità e l’utilità del diario narrativo digitale in ambito oncologico, uno per pazienti con carcinoma mammario o del colon-retto e un altro per pazienti con sarcoma. Gli studi, condotti da IFO – Istituto Tumori Regina Elena con la collaborazione di DNM, rilevano che la piattaforma è valutata positivamente sia dai pazienti che dagli operatori sanitari e che il diario migliora la comunicazione e la relazione tra loro come nel team di assistenza.
Occorrono però nuove competenze. La Società Italiana di Medicina Narrativa (SIMeN), fondata nel 2009 per la diffusione della medicina narrativa quale metodologia di intervento clinico-assistenziale nei luoghi di cura, ha avviato un percorso di formazione per ”Facilitatori di laboratorio di Medicina Narrativa”, finalizzato alla costruzione di un sistema strutturato di competenze e abilità per la progettazione, realizzazione, conduzione e valutazione di laboratori esperienziali.
Proprio da un’idea della SIMeN è nata la European Narrative Medicine Society (EUNAMES), che si propone di promuovere e rafforzare il dialogo e la discussione sul presente e sul futuro di tutte le forme di medicina narrativa tra operatori sanitari, ricercatori (sia accademici che non) e umanisti.
A livello internazionale sono stati sviluppati molti programmi educativi: la Columbia University come la Lewis Katz School of Medicine di Philadelphia, l'Ohio State University Humanities Institute, la University of Southern California, il College of Medicine Phoenix dell’Università dell’Arizona, la Lenoir-Rhyne University, offrono percorsi di formazione e apprendimento sulle competenze di NBM per studenti di medicina, ricercatori e operatori sanitari. Anche in Portogallo è attivo il Progetto in Medical Humanities.
Una dimensione che meriterebbe di essere ulteriormente approfondita riguarda l’impatto della narrazione sulla salute mentale. Interessante e innovativo il progetto Erasmus + My life in Europe, avviato nel 2021 da un partenariato composto da 4 nazioni (Italia, Polonia, Portogallo e Romania), che si fonda sul valore terapeutico, sociale e culturale dell’autobiografia e sugli effetti benefici dei videogiochi e delle attività online, partendo dal funzionamento cognitivo delle persone anziane o con deficit. Il cuore del progetto è un serious game, fruibile anche online, costituito da 10 mazzi di “carte stimolo” illustrate, ordinate secondo un andamento del tempo ben preciso, dall’infanzia fino all’età adulta. Ogni carta appartiene ad una categoria (tempo, spazio, corpi, figure o volti, azioni o fatti, emozioni, percezioni sensoriali, oggetti) e stimola la scrittura di episodi della propria vita e la costruzione guidata di una propria autobiografia, da condividere poi con altre persone.
Si tratta di metodologie emergenti, in grande sviluppo, con esiti fortemente promettenti in alleanza al percorso di cura. L’implementazione degli strumenti narrativi nella pratica clinica dipenderà soprattutto dalla disponibilità del settore sanitario ad accogliere le opportunità offerte dalle medical humanities, aspirazione tutt’altro che scontata in un sistema della salute e un’alta formazione ancora fortemente orientata al modello biomedico.
A cura di Catterina Seia e Rossella Failla