Via libera delle autorità sanitarie USA alla pafolacianina, un farmaco che si lega a una proteina presente in abbondanza sulle cellule del carcinoma ovarico e permette al chirurgo di individuarle, anche quando sono invisibili.
La Food and Drug Administration (FDA), ossia l’ente che regola la sperimentazione e la commercializzazione dei farmaci negli Stati Uniti, ha appena dato il via libera a una molecola, la pafolacianina, che potrebbe migliorare in modo significativo la chirurgia del tumore all’ovaio, una delle forme di cancro tuttora più difficili da trattare.
La sostanza, iniettata per via endovenosa subito prima dell’intervento, e poi sottoposta a una luce di specifiche lunghezze d’onda, diventa infatti fluorescente e illumina la massa cancerosa, rendendo visibili estensioni e margini che, a occhio nudo, molto spesso non sono individuabili dal chirurgo. Questo è attualmente un limite tecnico che spiega perché, in molti casi, il tumore non viene asportato nella sua totalità, con un rischio di recidive più alto.
«Il via libera alla pafolacianina - conferma Alex Gorovets, dirigente del Centro per la valutazione e la ricerca sui farmaci della FDA - può aiutare a migliorare la capacità da parte dei chirurghi di rimuovere tumori ovarici pericolosi che altrimenti potrebbero non essere rilevati».
Come funziona? Quasi sempre le cellule cancerose dell’ovaio presentano nella loro parete esterna un’alta quantità di una proteina chiamata recettore dei folati (i folati appartengono al gruppo della vitamina B). La pafolacianina, somministrata per via endovenosa, si lega a queste proteine e diventa visibile, se viene illuminata con un particolare sistema a fluorescenza nel vicino infrarosso (questo è il termine tecnico). Attualmente, invece, i chirurghi si affidano ai classici esami di“imaging preoperatorio (TAC, risonanza magnetica e altri), all'ispezione visiva dei tumori in condizioni di luce normale, durante l’intervento, e anche all’esame tattile per identificare le lesioni cancerose.
Studio su 150 donne
L’autorizzazione all’uso della pafolacianina, da parte delle autorità statunitensi, è arrivata sulla base di diversi studi clinici realizzati per testare la nuova molecola, il più importante dei quali, di fase 3 (la fase più vicina alla possibile commercializzazione), è stato coordinato dai medici dell’Università della Pennsylvania insieme all’azienda specializzata One Target, che la produce.
Nell’ambito di questo studio, come riferisce il Journal of Clinical Oncology, 150 donne malate di tumore dell’ovaio, che dovevano essere sottoposte all’intervento in 11 centri disseminati tra Stati Uniti e Olanda, sono state trattate con Cytalux (questo il nome commerciale della sostanza) e poi valutate in condizioni standard, oppure dopo l’illuminazione con luce fluorescente.
Ebbene, in circa un caso su tre è stata individuata una massa che non sarebbe stato possibile né vedere, né sentire alla palpazione chirurgica, in aree dell’addome in cui non era previsto alcun tipo di intervento. Ci sono stati, in verità, anche casi di falsi positivi (nel 32% delle lesioni asportate grazie al Cytalux: una percentuale alta), ma la nuova tecnica si è rivelata determinante (e “giusta”) negli interventi sui tumori più avanzati, cioè laddove il rischio aumenta. In questi casi la sensibilità – cioè la capacità di scovare ciò che si stava cercando – è stata dell’83%. Tutto questo ha comportato il fatto che nel 62% delle pazienti è stato possibile un intervento radicale, nel quale, cioè, è stata asportata tutta la massa presente, almeno in linea teorica.
La pafolacianina è stata ottenuta grazie a una ricerca che è durata più di dieci anni, e che si è sviluppata attraverso la sperimentazione di diversi, possibili composti su oltre 1.200 donne.
Un tumore difficile da diagnosticare
Solo in un caso su cinque, purtroppo, i tumori dell’ovaio vengono diagnosticati per tempo, e cioè quando sono ancora in fase precoce e dunque curabili con maggiore efficacia, perché non esistono marcatori che consentano di individuarli in anticipo, e a causa dei sintomi ben poco specifici. Per questo, quando si arriva alla diagnosi e poi all’intervento, la malattia è a volte già diffusa in altri organi addominali. Ma i gruppi di cellule cancerose “emigrate” diventano difficili da individuare: per questo il fatto di avere un’illuminazione specifica del tumore potrebbe fare una grande differenza.
I ricercatori stanno già progettando sperimentazioni con analoghi marcatori fluorescenti per altre forme di tumore particolarmente difficili da gestire, quali alcune forme dei carcinomi di testa e collo, cervello, polmone, e tratto genitourinario.