Numerosi studi dimostrano una chiara correlazione tra un più alto livello di istruzione e una maggiore longevità. Chi è più istruito non solo tende a vivere più a lungo, ma anche a invecchiare più lentamente, con un tasso di mortalità inferiore. Promuovere l'apprendimento e l'accesso all'istruzione di qualità per tutti può quindi avere un impatto positivo sulla salute pubblica.
"Chi è più istruito vive più a lungo."
Con questo titolo, un noto quotidiano italiano presenta i risultati dello studio longitudinale Framingham Heart della Columbia University: la prima ricerca, iniziata nel 1948, che coinvolge tre generazioni, correlando istruzione e mortalità. L’indagine porta all'ipotesi che a un livello di istruzione più elevata corrisponda un rallentamento dell’invecchiamento biologico e un aumento della longevità.
Il gruppo di ricerca, guidato da Daniel Belsky- professore associato di Epidemiologia presso la Columbia Mailman School e l’Aging Center- ha coinvolto 14.106 partecipanti per verificare le associazioni tra mobilità scolastica (ovvero le differenze di istruzione dei figli rispetto ai genitori), ritmo di invecchiamento e sopravvivenza. I ricercatori hanno poi analizzato i dati di un sottoinsieme di 3.101 partecipanti forniti per calcolare il ritmo dell’invecchiamento biologico e le associazioni con il grado di istruzione e mortalità.
I ricercatori hanno sviluppato e applicato ai dati genomici raccolti un modello chiamato “orologio epigenetico” DunedinPACE (acronimo di Pace of Aging Computed from the Epigenome), che si basa sull’analisi del DNA presente nei globuli bianchi e considera eventuali segni di metilazione.
L’associazione tra il ritmo dell’invecchiamento biologico (calcolato con DunedinPACE) e il grado di istruzione dei 3.101 partecipanti considerati, ha dato come risultato un rallentamento dell’invecchiamento biologico di coloro con maggior grado di istruzione, collegato a sua volta a una diminuzione della mortalità.
Traducendo i risultati in dati percentili, un’istruzione più lunga di 2 anni corrisponderebbe a un ritmo di invecchiamento più lento del 2-3%, che a sua volta rappresenta una riduzione della mortalità del 10%.
Poiché le eredità genetiche e quelle sociali influenzano il livello di istruzione di una persona e conseguentemente il suo ritmo di invecchiamento, l'analisi è stata incentrata sulla mobilità educativa, ovvero sulla differenza di livelli di istruzione tra genitori e figli. Per evitare errate interpretazioni generabili dalmaggiore accesso a risorse economiche (che si traducono in risorse di salute) delle persone con livelli di istruzione più alti, in 2.437 partecipanti che avevano un fratello o una sorella, è stato comparato il loro livello di istruzione. L’osservazione ha confermato l’ipotesi.
Gloria Graf, dottoranda e prima autrice dello studio, afferma che tali risultati supportano la promettente prospettiva che gli interventi per promuovere l’istruzione rallentino il ritmo dell’invecchiamento, aumentino la qualità della vita e riducano il rischio di morte.
Molte riforme scolastiche che hanno aumentato la scolarità dell’obbligo hanno dimostrato di produrre più longevità tra le generazioni interessate: gli impatti potenziali di investimenti sull'istruzione rispetto agli oneri di salute sostenuti dai sistemi sanitari potrebbero essere potenti, ma come sottolinea Belsky, sono necessarie ulteriori prove sperimentali che confermino i risultati. Le stesse ricerche di genetica ci hanno insegnato che parte della longevità può dipendere dal capitale genetico trasmesso dai genitori che può essere responsabile del successo scolastico della persona.Anche l’ingaggio in attività culturali e artistiche rileva effetti nel promuovere processi di invecchiamento attivo.
Sempre più studi, infatti, dimostrano come la partecipazione ad attività artistiche promuova stili di vita sani, più attivi, favorisca l’alfabetizzazione sanitaria, una maggior fruizione dei servizi e una maggior comprensione di aspetti di salute:elementi che concorrono a un invecchiamento attivo e a una conseguente maggiore longevità.
Assistere o partecipare a eventi e attività culturali riduce l’isolamento sociale, che a sua volta è predittore di mortalità anticipata. Inoltre, previene il declino cognitivo e contribuisce al trattamento e alla gestione del declino cognitivo e dei disturbi neurologici, costituendo un supporto sia per le persone malate che per i loro caregiver.
Se questi studi confermano l’empowerment delle persone e la qualità della loro vita aumentando l’accesso sia ad attività artistiche/culturali che a maggiori o minori livelli di istruzione, va considerata che la loro mancanza porta con sé il tema scottante delle disuguaglianze sociali.
In Italia, ad esempio, un recente rapporto ISTAT indica che solo il 12,8% dei giovani provenienti da famiglie con un basso livello di istruzione riesce a laurearsi, contro un tasso del 70% tra i figli di persone laureate. Inoltre, dai primi risultati dello studio Framingham Heart è evidente come disparità di accesso all'istruzione e povertà educativa ed esperienziale, spesso correlate a povertà economica e sociale, si traducono in disuguaglianze di salute.
Questi dati costringono a riflettere sul ruolo cruciale per la salute di alcuni ambiti di altre politiche, in una concezione di salute sempre più circolare a cui concorrono molti aspetti, tra cui l’istruzione e la cultura in generale.
In conclusione, la necessità di investire in istruzione di qualità per tutti non è più rimandabile.
Garantire l’accesso ad alti livelli di istruzione non è da considerarsi un privilegio per poche persone fortunate, ma un diritto essenziale tanto, anzi esattamente come, quello alla salute.