Blog | IBSA Foundation

Ecco perché non ha funzionato il primo xenotrapianto

Scritto da Paolo Rossi Castelli | 13 lug 2023

Sulla rivista scientifica Lancet un’analisi dettagliata del fallimento di quello che invece, nel 2022, era stato definito una svolta: il trapianto su un essere umano di un cuore di maiale geneticamente modificato.

Perché non ha funzionato il primo trapianto cardiaco eseguito al mondo su un uomo di 57 anni, utilizzando il cuore di un maiale geneticamente modificato (per aumentarne la compatibilità)?

Il “paziente 1”, operato nel gennaio 2022 dai chirurghi della University of Maryland School of Medicine (Stati Uniti), era riuscito a sopravvivere per 47 giorni, e si era conquistato le prime pagine dei media di tutto il mondo (vedi un nostro approfondimento a riguardo). Il risultato era stato definito addirittura una svolta per la cardiochirurgia perché, dopo decenni di studi, una barriera apparsa per molto tempo insuperabile - quella, appunto, del trapianto di organi dagli animali agli esseri umani, o xenotrapianto - sembrava essere stata abbattuta, aprendo le porte a sviluppi importanti in questo settore, a partire dalla grande disponibilità degli organi.

Poi, però, dopo sette settimane di relativa calma, improvvisamente, e cogliendo di sorpresa i medici, David Bennett (così si chiamava il “paziente 1”) è morto per scompenso cardiaco, senza mostrare nei giorni precedenti qualche segno evidente di rigetto acuto.

Ora, dopo 18 mesi, gli stessi chirurghi e ricercatori del Maryland hanno pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet un resoconto molto dettagliato di quanto hanno capito analizzando i tessuti di Bennett, e rivedendo i numerosissimi esami cui era stato sottoposto dopo l’intervento, nel tentativo di comprendere che cosa potesse essere successo. Innanzitutto – scrivono – va tenuto presente che il paziente, affetto da una gravissima insufficienza cardiaca, era terminale, cioè era comunque destinato a morire entro breve. E proprio per questo motivo, e per l'impossibilità di procedere con un trapianto “normale”, la Food and Drug Administration (l’ente che negli Stati Uniti regola la sperimentazione dei farmaci e delle altre terapie) aveva concesso l’autorizzazione - definita in termine tecnico “compassionevole” - per effettuare il primo trapianto con un cuore di maiale. Ma le condizioni di Bennett erano disperate, e questo di sicuro ha avuto un peso.

Difese immunitarie danneggiate

Inoltre, dal punto di vista immunitario, le sue difese erano estremamente compromesse, al punto che non è stato possibile somministrargli la consueta terapia immunosoppressiva, né, tantomeno, quella, molto potente, utilizzata in tutte le sperimentazioni precedenti di xenotrapianti sui modelli animali, per scongiurare il rischio di rigetto.

Ciò ha fatto sì, con ogni probabilità, che progressivamente si sia sviluppato un rigetto non acuto, ma non per questo meno pericoloso. E infatti l’organismo di Bennett ha prodotto tutti gli anticorpi che tipicamente si formano dopo un trapianto. Inoltre, all’uomo, due volte in due mesi, era stata somministrata un’infusione di un altro tipo di anticorpi, chiamati IVIG, per limitare il rischio di infezioni, ma questi ultimi potrebbero aver danneggiato il cuore.

Un virus non “intercettato”

Infine, uno degli effetti inattesi subito emersi è stata uninfezione da citomegalovirus porcino, un virus sfuggito ai controlli, che ha trovato in quel corpo così debilitato un terreno fertile per la sua riproduzione, nonostante fosse stata somministrata al paziente anche una terapia antivirale. Il citomegalovirus potrebbe aver provocato un’infiammazione che, a sua volta, ha danneggiato i tessuti cardiaci, anche se non sono state trovate prove di una sua diffusione in organi diversi dal cuore trapiantato.

La morte di David Bennett, dovuta con ogni probabilità alla somma di queste concause, e alle sue condizioni prima dell’intervento, non è stata comunque vana: è servita a evidenziare diversi aspetti da migliorare e da approfondire. Insomma, il lavoro sugli xenotrapianti continua, anche se per il momento non ci sono notizie di nuovi pazienti.


«Vogliamo far luce su ciò che ha portato al cattivo funzionamento del trapianto di cuore nel signor Bennett, che ha compiuto un atto eroico offrendosi volontario per essere il primo al mondo - commentano Bartley Griffith, coautore dello studio, e Alice Marie Hales, “distinguished professor” in trapianti alla University of Maryland. - Vogliamo che il nostro prossimo paziente non solo sopravviva più a lungo con uno xenotrapianto, ma torni alla vita normale e prosperi per mesi o anni».