Una nuova tecnica diagnostica sperimentata negli Stati Uniti per i tumori della testa e del collo (innescati dal papilloma virus HPV) permette di misurare con maggiore precisione il rischio di ricadute, e dunque di calibrare al meglio le terapie.
L’approccio terapeutico ai tumori dell’area testa-collo provocati dall’infezione da papillomavirus (HPV) – ma, in futuro, anche il trattamento di altri tipi di cancro – potrebbe essere migliorato in modo significativo da una nuova modalità di biopsia liquida che si basa non sull’analisi del sangue, come avviene di solito, ma della linfa. La biopsia liquida, lo ricordiamo, consiste nella ricerca, all’interno dei fluidi corporei, di tracce del DNA o di altre molecole “perse” dalle cellule cancerose.
Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Clinical Cancer Research dagli oncologi della Washington University di Saint Louis (USA), nell’ambito del quale la tecnica si è rivelata estremamente affidabile nel predire il rischio di ricadute e, quindi, nell’individuare le strategie migliori da mettere in campo dopo l’intervento chirurgico.
Ma cos’è la linfa? È il liquido trasparente che circola nel sistema linfatico, appunto, con diverse funzioni: raccoglie i fluidi in eccesso, trasporta sostanze utili anche nei punti più remoti dell’organismo, e permette ai globuli bianchi di spostarsi dai tessuti ai noduli linfatici, dove vengono attivati per combattere infezioni o altre minacce.
Tumori difficili da identificare e da rimuovere
I tumori della testa e del collo sono in aumento, per varie ragioni, e - in circa il 25% dei casi - traggono origine da un’infezione da HPV. Il bersaglio principale del virus, in realtà, è l’area genitale (in particolare l’utero), ma l’HPV può colpire anche la zona dell’oro-faringe, per effetto soprattutto del sesso orale.
Di solito si interviene chirurgicamente per asportare la massa tumorale, ma decidere che cosa fare dopo non è semplice, perché il prelievo di frammenti di tessuto, eseguito allo scopo di verificare se sono presenti ancora cellule maligne, può risentire della manualità dell’operatore oppure, semplicemente, rilevare cellule malate in una zona, ma non “vedere” quelle presenti in un’altra.
Biopsia liquida come alternativa alla biopsia tradizionale?
Da tempo si cerca di capire se una biopsia liquida (finora basata, come dicevamo, sulla ricerca di alcuni indicatori nel sangue) possa affiancare, se non sostituire, la biopsia tradizionale, ma i risultati sono sempre stati piuttosto incerti.
Adesso, però, quanto ottenuto a Saint Louis potrebbe rappresentare un indubbio passo in avanti. L’idea degli studiosi statunitensi è stata quella di analizzare il liquido di drenaggio che viene sempre raccolto dopo un intervento, per almeno 24 ore, al fine di verificare che non ci siano complicanze. Di solito viene buttato via ma, soprattutto nel caso di questi tumori, contiene - secondo i ricercatori - materiale estremamente prezioso come il codice genetico dell’HPV, che aiuta a capire se l'infezione è ancora presente e, quindi, se il paziente è ancora a rischio.
Liquido di drenaggio post-intervento
Per verificarne le potenzialità, i medici statunitensi hanno raccolto, nell’arco di 24 ore, il liquido di drenaggio di 100 pazienti appena operati, e hanno effettuato a tutti anche un prelievo di sangue. Quindi hanno cercato in entrambi il DNA virale in circolo, trovandolo nel 78% dei campioni di linfa, ma solo nel 12% di quelli di sangue: una differenza che, da sola, giustificherebbe l’adozione di questa tecnica.
Inoltre, la concentrazione del DNA nella linfa era migliaia di volte più elevata rispetto a quella del sangue, e anche questo costituisce un’opportunità unica. La biopsia liquida della linfa, infatti, può essere anche quantitativa, oltreché qualitativa, mentre con il sangue è molto difficile effettuare un dosaggio, data la scarsità del materiale.
La presenza di DNA virale nella linfa non deve stupire. La linfa passa attraverso i linfonodi, che sono i filtri biologici nei quali si concentrano le particelle virali. Il drenaggio porta via i residui presenti, che poi possono essere studiati. Al contrario, nel sangue si trovano solo tracce dei virus.
E la conferma è arrivata dai pazienti: due di loro, apparentemente, in base al referto istologico, non avevano più cellule maligne, ma hanno sviluppato una recidiva a un anno dall’intervento. In entrambi, dopo la ricaduta, l’esame del sangue non aveva mostrato nulla, ma quello della linfa ha fatto emergere, invece, la positività all’HPV. Al contrario, altri tre pazienti, che erano stati indirizzati verso una chemio-radioterapia, hanno sospeso momentaneamente queste cure per sottoporsi a ulteriori approfondimenti, dal momento che la linfa era del tutto priva di DNA virale. La biopsia liquida della linfa potrebbe quindi essere preziosa, e oltretutto costa pochissimo ed è quasi indolore.
Interpretazioni con l’intelligenza artificiale
Ma c’è di più. Gli autori hanno sviluppato anche un programma di intelligenza artificiale che li aiuta a interpretare i risultati e a predire le possibilità di recidiva e di sopravvivenza elaborando, oltre ai dati della biopsia liquida della linfa, anche quelli della biopsia liquida del sangue, quelli istologici tradizionali e quelli clinici.
Oltre a rivelarsi specifico e affidabile, il programma ha confermato il ruolo di assoluta importanza dell’esame della linfa. Si attendono dati ulteriori su casistiche più ampie, mentre i ricercatori stanno provando a ottimizzare i test che indicano la negatività, cioè l’assenza dei virus HPV, affinché l’esame possa diventare ancora più specifico e sensibile.