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Nuova conferma: la narcolessia ha un’origine autoimmune | Fondazione IBSA

Scritto da Paolo Rossi Castelli | 21 mar 2019

Una ricerca dell’Università di Copenhagen e della Technical University of Denmark, pubblicata sulla rivista scientifica Nature, conferma l’origine autoimmune della narcolessia, che già era stata rivelata nel settembre scorso da un importante studio svizzero, al quale avevano collaborato, fra gli altri, l’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona, il Neurocentro della Svizzera Italiana (Lugano), il Politecnico di Zurigo e l’Inselspital di Berna. Anche quello studio era apparso su Nature.

Che cosa hanno scoperto, e confermato, i ricercatori? La narcolessia – lo ricordiamo – è un disturbo neurologico invalidante che provoca, fra gli altri sintomi, un’eccessiva sonnolenza diurna con colpi di sonno impossibili da reprimere. Per lungo tempo si era discusso nel mondo scientifico sull’origine di questa malattia, puntando l’attenzione soprattutto su una possibile origine neurologica (derivante, cioè, da difetti di qualche area del cervello).

Ebbene, recentemente i ricercatori sono invece riusciti a individuare alcuni particolari tipi di linfociti T (cellule fondamentali del sistema immunitario) che distruggono, per errore, le cellule dell’ipotalamo (una regione del cervello) destinate a produrre l’ipocretina: la proteina, cioè, che regola il ciclo sonno-veglia e anche alcuni comportamenti emotivi. Proprio l’assenza di ipocretina provoca poi la narcolessia. Dunque la “colpa” di questa malattia va attribuita agli errori del sistema immunitario, e non a quelli del sistema nervoso.

Per quanto riguarda, in particolare, lo studio dell’Università di Copenhagen e della Technical University of Denmark, i ricercatori hanno analizzato il sangue di 20 pazienti e di 52 volontari sani, e hanno visto che solo nei primi erano presenti alti livelli di un sottogruppo di linfociti T, chiamati CD8 e considerati corresponsabili, insieme ad altri linfociti (CD4 già identificati dai ricercatori svizzeri), dell’insorgenza delle reazioni autoimmunitarie.

La scoperta è importante perché, a questo punto, sarà possibile studiare terapie finalmente “mirate” contro questo disturbo, e si potranno anche cercare nel sangue dei pazienti una serie di segnali che permettano di capire tempestivamente se la malattia è in arrivo.