Sul New England Journal of Medicine i risultati di un importante studio eseguito da un’équipe internazionale. Con tecniche di ingegneria genetica le cellule staminali del sangue malate vengono riparate.
Una nuova, concreta speranza si apre per i malati di beta talassemia, o anemia mediterranea, dopo il buon esito di una terapia genica chiamata beti-cel, che ha coinvolto ricercatori di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Tailandia (la terapia genica, lo ricordiamo, prevede la modifica dei tratti difettosi del codice genetico nelle cellule malate, con tecniche sofisticate).I risultati della fase 3 della sperimentazione, quella che precede l’eventuale via libera da parte delle autorità sanitarie, sono stati appena pubblicati sul New England Journal of Medicine, una delle più importanti riviste biomediche a livello internazionale. Lo studio ha coinvolto nove ospedali nel mondo, tra cui l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma sotto la supervisione del professor Franco Locatelli, primo autore dello studio.
Nella beta talassemia, che ha un’origine ereditaria, la sintesi dell’emoglobina (la proteina del sangue alla quale si lega l’ossigeno) è insufficiente. Per questo i pazienti con le forme più gravi di questa malattia hanno bisogno di continue trasfusioni (in genere mensili) che, però, li espongono al possibile rischio di infezioni e di un sovraccarico di ferro nel fegato che può avere anche pesanti conseguenze. Per questo da tempo si cerca di capire come fare per correggere il difetto genetico all’origine delle carenze di emoglobina, e ora il traguardo sembra più vicino.
Un virus come "veicolo”
I ricercatori hanno deciso di utilizzare cellule staminali del paziente (cellule ematopoietiche, in termine tecnico), che sono state estratte dal sangue del paziente stesso e “infettate” con un virus modificato in laboratorio. Questo virus, entrato nelle cellule, ha trasportato copie corrette del gene che è difettoso nella talassemia, ed è andato a sostituire quelle malfunzionanti. Le cellule staminali con il DNA corretto sono state poi reinfuse nel paziente, dopo alcuni cicli di chemioterapia necessari per eliminare il maggior numero possibile di cellule difettose e rendere l’attecchimento di quelle modificate più facile.
In base a quanto riportato sul New England Journal of Medicine, 20 dei 22 pazienti trattati (pari al 91% del totale), che avevano un’età compresa tra i 4 e i 34 anni e che sono stati seguiti in media per poco meno di 30 mesi, hanno raggiunto la meta più ambita: dopo circa un mese dalle cure, si sono liberati dalla necessità delle trasfusioni, e questo è accaduto anche a 6 dei 7 pazienti con meno di 12 anni.
Un anno dopo il trattamento, inoltre, la concentrazione media di emoglobina era pari a 8,7 grammi per decilitro, e anche se si tratta di un valore inferiore a quello raggiunto con le trasfusioni (in media attorno agli 11 grammi per decilitro), è comunque una quantità sufficiente per dire addio stabilmente ai continui apporti di sangue esterno.
Poiché la procedura richiede, come dicevamo, un pre-trattamento con chemioterapia (della durata media di un mese, quasi sempre in regime di ricovero, per monitorare la situazione e proteggere il malato dal rischio di infezioni), è normale attendersi anche una certa tossicità.
Tuttavia, fra i pazienti sottoposti alla sperimentazione solo quattro ne hanno avuta di relativamente significativa, e solo uno ha mostrato una carenza di piastrine giudicata grave. Non si è invece verificato nessun caso di tumore attribuibile al procedimento (rischio considerato concreto, in questo tipo di terapie).
Tali numeri permettono quindi di dire che la terapia genica beti-cel (abbreviazione di Betibeglogene Autotemcel) è efficace e sicura, e potrebbe migliorare le condizioni di vita di quasi tutti i malati, compresi quelli pediatrici.
In attesa del via libera definitivo
L’azienda Bluebird Bio, che ha finanziato lo studio, ha già sottoposto il dossier di approvazione definitiva alla Food and Drug Administration (l’ente che regola la sperimentazione e la commercializzazione dei farmaci negli Stati uniti), e pensa che il via libera possa arrivare entro la prossima estate. In questo caso, la terapia potrebbe uscire dalla fase sperimentale per essere applicata direttamente su larga scala negli ospedali.