Ricercatori norvegesi hanno messo a punto un medicinale sperimentale diretto contro un’importante molecola che regola la duplicazione delle cellule tumorali. Iniziati i test anche sugli uomini.
Le cellule tumorali hanno un metabolismo particolarmente attivo, a causa della proliferazione continua che devono sostenere. Ma tutta questa attività biologica causa stress alla cellula cancerosa, che risponde attivando una proteina presente nel nucleo, chiamata PCNA Proliferating Cell Nuclear Antigen, in grado di svolgere un ruolo importante nella replicazione del DNA e nella riparazione di eventuali danni.
Tutto ciò è da tempo oggetto di studi, che hanno dimostrato con chiarezza come PCNA possa diventare un ottimo bersaglio terapeutico: bloccandola, la cellula cancerosa soccombe velocemente, vittima della sua stessa frenetica proliferazione (l’hanno confermato test in vitro e sugli animali). Inoltre, la PCNA è presente e attiva in moltissimi tumori, ma lo è molto meno nelle cellule sane, più stabili per definizione.
Ora arrivano i primi, positivi dati sull’uomo. I ricercatori della Norwegian University of Science and Technology (NTNU), in Norvegia, che da quasi vent’anni si occupano di questa molecola, hanno infatti avviato una sperimentazione clinica, finalizzata a verificare la sicurezza del primo farmaco anti-PCNA, chiamato ATX-101, messo a punto dalla stessa NTNU e da una società collegata, la APIM Therapeutics.
Per farlo, hanno reclutato (in Australia) 25 persone con tumori di vario tipo che non rispondevano più ad alcuna cura, e hanno somministrato a questi pazienti il farmaco, in quattro differenti dosi. La prima risposta è stata positiva, perché ATX-101 si è mostrato relativamente sicuro, causando effetti collaterali da lievi a moderati nel 64% dei pazienti, e quindi in misura e gravità inferiori rispetto alle chemioterapie tradizionali (il principio attivo di ATX-101 viene eliminato già dopo un’ora dall’organismo e agisce poco sulle cellule sane). Inoltre ATX-101 non sembra provocare perdita di capelli, e non richiede neppure la combinazione con altri chemioterapici.
Come riferisce la rivista scientifica Oncogene, del gruppo Nature, l’osservazione di queste persone ha permesso anche di dedurre le prime informazioni cliniche sull’efficacia. Il 70% dei pazienti ha avuto una stabilizzazione della malattia, ancora visibile dopo sei settimane. Dodici hanno continuato la cura, e sono rimasti stabili per 18 settimane, e una donna, che ha preso il farmaco per 18 mesi, è ancora stabile dopo due anni.
Naturalmente si tratta solo del primo passo, e ora tutto dipenderà da quelli successivi, cioè dalle fasi 2 e 3 della sperimentazione, che verrà condotta su un numero più ampio di pazienti.
Se i risultati si confermeranno positivi, l’”arsenale” terapeutico a favore dei pazienti oncologici potrà allargarsi anche a farmaci, come gli anti-PCNA, che nascono con un obiettivo diverso rispetto a quello dei chemioterapici classici: la stabilizzazione della malattia, e quindi la sua trasformazione in patologia cronica, ottenuta grazie a un solo farmaco e con minori effetti collaterali rispetto alle cure tradizionali.