Lo strumento realizzato dai ricercatori del Maryland utilizza un particolare tipo di laser a infrarossi, chiamato laser-induced electron avalanche breakdown. Come funziona? Semplificando al massimo, possiamo dire che i materiali radioattivi emettono elettroni (oltre ad altre particelle), che si legano all’ossigeno dell’aria e formano una sorta di nuvola elettronica. Il laser riesce a spezzare questo legame elettroni-ossigeno, e innesca un processo chiamato valanga elettronica, che è relativamente facile da rilevare, perché modifica la luce infrarossa del laser. Sono proprio queste alterazioni a segnalare la presenza di una sorgente radioattiva e a permettere di quantificarla, in base al tipo e all’entità delle variazioni intervenute. «I metodi di rilevamento tradizionali si basano, invece, su particelle di decadimento radioattivo che interagiscono direttamente con un rivelatore – ha affermato Robert Schwartz, autore principale dello studio. – Con quei sistemi la sensibilità diminuisce notevolmente all’aumentare della distanza».
Aggiunge Howard Milchberg, professor di fisica all’Università del Maryland: «Le valanghe di elettroni sono state individuate ben presto, dopo l’invenzione del laser. Insomma, non sono un fenomeno nuovo. Noi, però, siamo stati i primi a utilizzare un laser a infrarossi per rilevare le radiazioni. La lunghezza d’onda dell’infrarosso è importante, perché può separare facilmente e in modo specifico gli elettroni dagli ioni di ossigeno».