"The Wall of Sound," l'ultima creazione di PanGenerator, un gruppo di artisti nato a Varsavia, trasforma la voce umana in un'esperienza artistica unica. Questa struttura interattiva permette al pubblico di creare musica vocalizzando nei microfoni posti in una rete geometrica. L'opera polifonica è un riflesso del nostro mondo rizomatico e caotico, e dimostra il potere della creatività democratica nell'arte.
panGenerator è un gruppo interdisciplinare fondato a Varsavia nel 2010 da Piotr Barszczewski - oggi non più nel gruppo - Krzysztof Cybulski, Krzysztof Goliński e Jakub Koźniewki. Esso si contraddistingue per l’impiego di mezzi che vanno dall’arte visiva alla musica, con cui produce un’arte di sintesi di discipline, tecniche e tecnologie diverse, da quelle naturali, come la voce umana, alle tecniche tradizionali, a quelle digitali.
È l’unione di tutte queste forze che ha attirato la nostra attenzione (di IBSA Foundation e del Museo Nazionale della Tecnica e della Scienza) per la serie Digital Aesthetics. Altra cosa degna di nota è il fatto che il nome del gruppo è composto di due parole: “pan” e “generator”, unendosi in una sigla la cui prima parte, a differenza della normale scrittura che dovrebbe iniziare con la maiuscola, vale a dire PanGenerator, qui è minuscola. La stessa cosa succede con il gruppo italiano che abbiamo presentato lo scorso anno che risponde al nome di aurora Meccanica.
Nel caso dei panGenerator la scritta-nome fa pensare a una forma grafica di movimento musicale: crescendo e calante, un movimento che dà il senso del panico generato dal suono.
Difatti il termine “pan” ha molti significati, tra i primi quello di essere riferito al Dio agreste Pan, amante della danza e della musica, e per questo vicino a Dioniso. Tant’è che dai tempi dell’antica Grecia esiste anche uno strumento musicale aerofono a canne che prende il suo nome: il flauto di Pan.
Ma quando dal singolo nome si passa al prefisso, “pan” assume anche il significato di panico, terrore come ad esempio nel meno piacevole caso in cui pan è associato alla nostra salute nel termine pandemia.
Pandemia dal greco pandémios “di tutta la popolazione”, pan = tutti e dēmos = popolo. Si tratta di un fatto di contagio che va dal singolo al tutto, “un fatto sociale totale” nella cui riconfigurazione esistenziale hanno avuto molto peso i media elettronici. Nel caso di panGenerator risulta evidente che tale nome finisce, oltre che a contenere i significati di sopra, per assumere il significato “quasi divino” di generatore del tutto di un’arte fatta con quasi tutto e per tutti.
Che l’arte moderna, a partire dal Futurismo, abbia rotto da tempo gli argini disciplinari è cosa nota, forse meno conosciute sono le tante declinazioni di cui essa si è arricchita, compresa la versione digitale contemporanea, come dimostra l’arte dei panGenerator. Come spesso accade in artisti che lavorano totalmente o parzialmente con le tecnologie digitali non bisogna dimenticare di sottolineare come l’arte digitale porti con sé la relazione con l’utente fruitore che partecipa alla co-realizzazione dell’opera che, peraltro, è un ulteriore requisito di Digital Aesthetics, e anche in questo i panGenerator non fanno eccezione.
In realtà sono molte le caratteristiche che di loro ci interessano, dal fatto di lavorare in gruppo, e non singolarmente come artisti solitari romantici, spingendo invece sul tasto della condivisione e resilienza quale caratteristica fondamentale per superare le problematiche della vita contemporanea, comprese quelle generate dalla pandemia. Un’arte, la loro, che ci aiuta a confrontarci con i nostri rituali digitali quotidiani a cui nessuno riesce più a sottrarsi, aiutandoci così a impiegare i media elettronici in modo creativo e non ansioso e anestetizzato. Un elenco di caratteristiche che potrebbe a lungo proseguire, ma che preferiamo ora affrontare introducendo l’opera scelta per Digital Aesthetics di quest’anno: The Wall of Sound (a collaborative sampler/sequencer in a public space).
Si tratta di una struttura reticolare, una sorta di ragnatela o rizoma geometrico, potenzialmente espandibile all’infinito, al tutto appunto, e per questo rimodulabile e applicabile ovunque, e quindi, ogni volta nuovo. Esso nasce nel 2019 in piena pandemia da una commissione de la Street Art di Katowice Urban Sound come istallazione interattiva in cui il pubblico crea musica parlando e/o cantando, insomma, vocalizzando nei microfoni elettronici posti nei nodi della “ragnatela digitale”. Una struttura rizomatica che permette ai primi suoni di aumentare e diversificarsi nei nodi successivi, creando una polifonia di nuove voci e sequenze in progress.
Si tratta di un’opera di suono totale e collettivo, una torre di babele sonora in cui ogni modulo è indipendente ma assente di controllo centrale, per cui antigerarchico e funzionante all’infinito in relazione agli altri.
“Pandémios” di tutto il popolo e quindi di creatività democratica.
È la ricaduta estetica del nostro mondo rizomatico e caotico, fatto di mille piani come avevano già decenni fa annunciato con filosofia i francesi Deleuze e Guattari, avvertendoci che: “Quando un rizoma è tappato, arborificato, è finita, non passa più nulla del desiderio; perché è sempre per rizoma che il desiderio si muove e produce”, compreso per noi quello dell’arte dei panGenerator aggiungiamo noi.
By Giacinto Di Pietrantonio