Ricordate il morbo della mucca pazza e soprattutto la sua versione umana, la malattia di Creutzfeldt Jakob? Dopo le emergenze di una ventina d’anni fa, non se ne sente parlare quasi più. Eppure questi tipi di patologie, provocate dai prioni (cioè da proteine alterate in grado di propagarsi da un individuo all’altro e di infettarli), continuano a colpire e a uccidere gli animali di diverse specie e, sia pure molto raramente, anche l’uomo (si stima che ai prioni sia attribuibile un decesso ogni 10.000). Ma, finora, queste “particelle infettive” erano in gran parte misteriose. Non si capiva, soprattutto, in che modo riuscissero a passare da una cellula all’altra, dando poi il via alla loro pericolosa attività. Adesso, però, i ricercatori della Case Western Reserve School of Medicine di Cleveland (Stati Uniti) hanno pubblicato sulla rivista Nature Communications i risultati di uno studio importante, che potrebbe contribuire in modo significativo a portare nuova luce sui “meccanismi” dei prioni. I patologi americani sono infatti riusciti a creare in laboratorio un prione umano, inserendo il DNA di una proteina mutata in un ceppo di batteri Escherichia coli (e facendo poi produrre a questi batteri la proteina alterata, cioè il prione).
Negli anni passati nessun tentativo di questo tipo era andato a buon fine (alcuni team internazionali erano riusciti a riprodurre prioni animali, ma diversi da quelli umani). La possibilità di disporre, adesso, di quantità teoricamente illimitate di una proteina prionica umana potrà consentire di studiare nel dettaglio come funzionano queste particelle, e potrà aprire le porte a possibili terapie (attualmente quasi inesistenti).
I ricercatori americani hanno già scoperto, per esempio, che la parte più “critica” e pericolosa del prione non è, come si pensava, quella in cui la proteina è alterata, deformata (rispetto alle proteine normali), ma una delle due estremità, chiamata C-terminale: è quello il punto che consente al prione di passare da una cellula all’altra. Ed è quello uno dei punti su cui si concentrerà la ricerca di nuovi farmaci.