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Paolo Rossi Castelli22 giu 20242 min read

Risonanza magnetica: una migliore esperienza con il sensore che rileva i movimenti

Realizzato dai ricercatori dell’Accademia cinese delle Scienze, permette di identificare in tempo reale i movimenti del paziente (che potrebbero alterare gli esiti dell’esame), riducendo gli errori e la durata della risonanza magnetica 

Sottoporsi a una risonanza magnetica in futuro potrebbe essere più confortevole, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di compiere piccoli movimenti senza prolungare troppo la durata o invalidare l’esito dell’esame. Oggi viene infatti richiesta l’assoluta immobilità, da mantenere per diversi minuti, proprio perché ogni scostamento dalla posizione ottimale comporta alterazioni delle immagini, provocando i cosiddetti “artefatti da movimento”. Ma restare assolutamente fermi è tutt'altro che semplice, e accade di muoversi. È compito del tecnico accorgersi degli spostamenti involontari (o anche volontari) del paziente e, nel caso, interrompere l’esame, per poi riprenderlo quando la persona è di nuovo nella posizione corretta. Ovviamente, dipendendo dall'osservazione diretta, queste procedure comportano errori, ritardi e imprecisioni nel risultato finale.  

Meno imprecisioni durante l’esame di risonanza magnetica 

Per ovviare a tutto ciò un gruppo di ingegneri dell’Accademia cinese delle Scienze di Pechino ha creato un particolare sensore che, sistemato sotto la parte del corpo da esaminare, è in grado di segnalare eventuali movimenti, interrompendo automaticamente l’acquisizione delle immagini, per poi riprenderla quando il paziente è di nuovo fermo, e nella posizione giusta. Sembra semplice, come idea, ma in realtà è complessa da mettere in pratica con i sensori classici, perché questi dispositivi tendono a interferire con i campi magnetici generati dalla “macchina”, alterando i risultati (e infatti non vengono utilizzati). 

Come hanno fatto, allora, i ricercatori cinesi? Sulla rivista scientifica ACS Sensors hanno spiegato che il nuovo sensore sfrutta un “nanogeneratore triboelettrico” (si chiama così, in termine tecnico), capace di convertire la semplice energia meccanica, come il movimento o la vibrazione, in energia elettrica, senza il bisogno di materiali magnetici. Cerchiamo di spiegare meglio: in alcuni casi, quando due materiali diversi vengono messi a contatto e poi separati, si verifica un trasferimento di elettroni tra i materiali stessi, creando una carica elettrica (questo effetto, per esempio, è alla base delle scintille” che a volte vengono provocate dagli indumenti sintetici, quando ci muoviamo). Separando queste cariche, si induce una differenza di potenziale che può essere utilizzata per generare una corrente elettrica.

Due strati di plastica e grafite

ll sensore messo a punto dai ricercatori cinesi è formato da due strati di pellicola plastica verniciata con inchiostro a base di grafite, che è in grado di condurre deboli correnti elettriche, attorno a uno strato centrale di silicone. Quando i due strati plastici vengono sottoposti a pressione (per esempio, se il paziente si sposta), le loro cariche elettrostatiche si muovono, sfruttando linchiostro, e creano una corrente, che poi esce attraverso un filo. Il tutto viene montato sul normale tavolo da risonanza e non crea interferenze. 
Nei test effettuati, quando il paziente ha girato la testa, oppure l’ha sollevata dal tavolo, il sensore ha rilevato i movimenti, trasmettendo un segnale a un computer e generando un avviso acustico. In questo caso la scansione è stata interrotta in modo automatico. 
Secondo i ricercatori, un sensore di questo tipo potrebbe contribuire a rendere le scansioni di risonanza magnetica più efficienti, e meno frustranti sia per i pazienti che per i tecnici, producendo al tempo stesso immagini migliori. 


 

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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