Ipotesi della Yale School of Medicine. Prelevando una porzione di tessuto ovarico in giovane età, conservandola a -196 gradi e reinserendola nell’organismo, sottocute, prima dei 50 anni, la menopausa potrebbe venire posticipata anche di 20 o 30 anni.
In un futuro non troppo lontano ogni donna potrà scegliere se entrare in menopausa, oppure no? E, se deciderà di farlo, potrà stabilire da sola (o, per meglio dire, insieme al proprio medico) quale sarà il momento più adatto per l’uscita dalla fase fertile della sua vita?
Questi scenari un po’ da fantascienza sono stati lanciati, in realtà, da uno studio che arriva da una delle università più prestigiose degli Stati Uniti, quella di Yale, e porta la firma di uno dei pionieri del settore, Kutluk Oktay, docente di ginecologia e direttore del Laboratory of Molecular Reproduction and Fertility Preservation.
Oktay - che è stato il primo al mondo a eseguire una procedura di “espianto” e poi autotrapianto ovarico, a distanza di anni, con tessuto crioconservato, nell’ormai lontano 1999, in una paziente oncologica - si è chiesto cosa accadrebbe se questa tecnica venisse applicata su larga scala, in donne sane. Questo avverrebbe prelevando tessuto ovarico durante la giovinezza (o comunque prima dei 40 anni), congelandolo a temperature bassissime e reimpiantandolo nell’organismo in una fascia di età successiva.
Gli ovociti, scrive Oktay sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology, si riattiverebbero e darebbero il via a una serie di attività biochimiche e ormonali che allungherebbero la fase fertile, allontanando, anche di molto (o addirittura cancellando), la menopausa.
Crioconservazione per la fertilità
Come spiega un comunicato della Yale School of Medicine, la crioconservazione e l’autotrapianto del tessuto ovarico sono stati utilizzati con successo, finora, nelle pazienti affette da tumore che dovevano sottoporsi a trattamenti chemioterapici, per preservarne la fertilità.
Durante questa procedura ambulatoriale, il chirurgo rimuove per via laparoscopica strati della porzione esterna dell’ovaio, che contengono un gran numero di ovociti immaturi, circondati da una sottile membrana di cellule follicolari (queste “strutture” microscopiche, costituite dagli ovociti e dalle cellule follicolari, vengono chiamate follicoli primordiali e rappresentano una riserva essenziale per la fertilità delle donne). Dopo il prelievo, il tessuto ovarico viene conservato in azoto liquido (intorno a -195°C) anche per molti anni.
I follicoli primordiali possono poi essere scongelati e reimpiantati sottocute, da dove, 3-10 giorni dopo, ricominciano a funzionare, riacquistando le connessioni con i vasi sanguigni circostanti e ripristinando la funzione ovarica in circa tre mesi.
Mediamente si riattiva il 40% dei follicoli, ma questa percentuale può variare in base all’età della donna, alla quantità di tessuto asportata e al numero di follicoli primordiali presenti al momento della procedura.
Procedure frazionate per risultati migliori
Ebbene, in base ai dati raccolti dal 1999 in poi su centinaia di donne sottoposte al prelievo di tessuto ovarico, i ricercatori dell’Università di Yale hanno elaborato una serie di modelli matematici per immaginare con precisione i nuovi, possibili scenari.
Ad esempio, se in una donna sana di 25 anni si prelevasse un quarto del tessuto ovarico, e lo si impiantasse prima dei 50 anni, si potrebbe ritardare la menopausa di 11,8 anni (o di 15,5 anni, se le tecniche per far sopravvivere gli ovociti migliorassero, passando dal 40% all’80%). Frazionando il reimpianto in 3 o 6 procedure, si potrebbe arrivare a un ritardo, rispettivamente, di 23 o 31 anni (o addirittura di 47 anni, nel caso di sopravvivenza degli ovociti all’80%).
Questo significherebbe, virtualmente, la scomparsa della menopausa. Ogni donna potrebbe infatti sottoporsi a più procedure, durante la sua vita, partendo da un solo prelievo eseguito in gioventù, e non entrerebbe mai in menopausa.
I vantaggi potrebbero essere di vario tipo. Oltre alla possibilità di concepire figli in un’età in cui si è già investito tutto il tempo necessario alla realizzazione professionale, si potrebbe evitare di risentire delle conseguenze negative associate al crollo della produzione degli estrogeni, per esempio a carico delle ossa, dell’umore e del sistema nervoso, così come di quelle cardiovascolari tipiche della menopausa, e verrebbe prolungata una piena attività sessuale. «Per la prima volta nella storia della medicina - ribadisce Oktay - abbiamo la capacità di ritardare o eliminare potenzialmente la menopausa».
Restano forti le perplessità nel mondo scientifico
Tuttavia, la prospettiva non convince tutta la comunità scientifica, una parte della quale critica apertamente sia la medicalizzazione di una condizione fisiologica come la menopausa, trattata appunto come una malattia da evitare sempre e comunque, sia l’approccio che tende a rimuovere – culturalmente, ancora prima che dal punto di vista medico – l’avanzare dell’età.
Inoltre, queste prospettive non sembrano tenere nella giusta considerazione il diritto degli eventuali figli di non nascere da madri troppo anziane, anche se ancora fertili grazie a un trapianto. Resta poi anche l’incognita di possibili effetti negativi sull’organismo legati a queste procedure. Infine, c’è chi teme il business che si svilupperebbe per promettere alle donne l’addio o il rinvio anche di decenni della manopausa, con tutte le forzature che ne seguirebbero. Ci sarà quindi ancora molto da discutere, prima di arrivare alla menopausa fai da te, a prescindere dagli avanzamenti delle tecniche biomedicali.