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Bee collecting nectar from the flowers of the tree called Quillay
Paolo Rossi Castelli04 nov 20215 min read

Dal Cile un ingrediente (con poche scorte) per i vaccini

La corteccia dell’albero Quillaja Saponaria contiene alcune sostanze (saponine) utilizzate come “adiuvanti” nel vaccino anti-Covid della Novavax e di altre aziende. Ma un eccesso di domanda rischia di creare problemi.

Si chiamano saponine, sono presenti con una struttura chimica particolare nella corteccia di un albero delle foreste cilene (il Quillay, nome locale per definire la Quillaja saponaria), e sono molto richieste dalle aziende, perché funzionano bene come “adiuvanti” in alcuni tipi di farmaci e nei mangimi animali, e vengono utilizzate anche dall’industria alimentare e da quella mineraria.

Già sotto forte pressione per le richieste provenienti da tutto il mondo, le saponine sono diventate l’ingrediente anche del nuovo vaccino anti-Covid dell’azienda statunitense Novavax, che si trova in fase avanzata di sperimentazione ed è destinato a essere prodotto in un grandissimo numero di dosi, quando arriveranno le approvazioni delle autorità sanitarie internazionali.
Ma ci saranno abbastanza saponine per soddisfare tutte le richieste, vaccini compresi? Non esistono dati affidabili su quanti alberi di Quillaja saponaria siano rimasti in Cile, e dunque è molto difficile calcolare per quanto tempo ancora dureranno le riserve. Secondo quasi tutti gli esperti, però, le aziende che utilizzano gli estratti della Quillaja saponaria dovranno presto cercare alternative preparate in laboratorio (soluzione non facile, peraltro).

Potenziare il sistema immunitario
Ma cosa sono gli adiuvanti? Sono sostanze che, per motivi non del tutto noti, rendono più forte - nel caso dei vaccini - la risposta del sistema immunitario, e sono principalmente di tre tipi: sali di alluminio (ingiustamente accusati di avere conseguenze sulla salute, dalle persone che contestano i vaccini), squalene (estratto dal fegato di squalo e, per tale motivo, anch’esso limitato) e, appunto, alcuni tipi di saponine, come quelle (in sigla QS-21) ottenute dalla corteccia della Quillaja saponaria.

Il numero di adiuvanti approvati dalla Food and Drug Administration statunitense - l’ente che controlla la produzione e la vendita dei farmaci negli Stati Uniti - è comunque molto ridotto, a causa dei potenziali rischi per la salute di queste sostanze.

Ma perché il vaccino Novavax ha “bisogno” delle saponine? Questo farmaco è diverso dai vaccini a mRNA (Pfizer, Moderna) e da quelli a vettore virale (AstraZeneca, Johnson & Johnson), e prevede - a differenza dei concorrenti - la somministrazione diretta della proteina Spike del coronavirus nell’organismo del ricevente (gli altri vaccini, invece, fanno produrre la proteina alle cellule dell’organismo stesso). Per funzionare, però, la proteina Spike contenuta nel vaccino Novavax deve essere legata, appunto, alle saponine, che hanno il compito di avviare la risposta del sistema immunitario. Il “mix” di proteine del virus e di sostanze adiuvanti innesca poi la creazione di anticorpi e altre reazioni dell’apparato difensivo dell’organismo (questo tipo di vaccino viene definito a proteine ricombinanti).

Siccome Novavax stima di produrre alcuni miliardi di dosi del vaccino nei prossimi due anni – ciascuna delle quali deve contenere circa un milligrammo di saponine estratte dagli alberi di Quillaja saponaria – i raccoglitori/venditori di saponina riusciranno a soddisfare con difficoltà, dicevamo, la domanda. In più, anche un vaccino anti SARS-CoV-2 sviluppato da GlaxoSmithKline prevede le saponine, oltre a quelli che già le impiegavano, e se anche quest’ultimo dovesse arrivare alla fase di produzione, la crisi sarebbe assicurata.

Già sotto forte pressione per le richieste provenienti da tutto il mondo, le saponine sono diventate l’ingrediente anche del nuovo vaccino anti-Covid dell’azienda statunitense Novavax, che si trova in fase avanzata di sperimentazione ed è destinato a essere prodotto in un grandissimo numero di dosi, quando arriveranno le approvazioni delle autorità sanitarie internazionali.
Ma ci saranno abbastanza saponine per soddisfare tutte le richieste, vaccini compresi? Non esistono dati affidabili su quanti alberi di Quillaja saponaria siano rimasti in Cile, e dunque è molto difficile calcolare per quanto tempo ancora dureranno le riserve. Secondo quasi tutti gli esperti, però, le aziende che utilizzano gli estratti della Quillaja saponaria dovranno presto cercare alternative preparate in laboratorio (soluzione non facile, peraltro).

Sfruttamento eccessivo
Molti problemi dipendono dal fatto che le tecniche attuali di coltivazione degli alberi di Quillaja saponaria sono ancora in gran parte quelle tradizionali, e l’azienda leader del settore, la Desert King International, acquista da piccoli coltivatori locali l’estratto di corteccia da cui si ottengono le saponine. La saponina QS-21, oltretutto, si trova solo in alberi di Quillaja saponaria con più di dieci anni, e questo spiega il suo prezzo stellare: un grammo costa più di 100.000 dollari.

I ricavi e la richiesta sempre crescente hanno causato autentici disastri: per incrementare i raccolti, molti coltivatori hanno di fatto distrutto le piante, esagerando con i prelievi di corteccia e andando a danneggiare anche esemplari di Quillaja saponaria individuati nelle foreste, grazie all’impiego di droni.

Di fronte a questa situazione critica, come ha raccontato un anno fa la rivista americana Atlantic in un lungo reportage intitolato “The Tree That Could Help Stop the Pandemic”, e come ora riferisce anche l’agenzia Reuters , è intervenuto lo stato cileno, con leggi più severe. Inoltre, le autorità governative hanno iniziato a fornire sementi ai proprietari terrieri per stimolarli a coltivare nuovi alberi per rimpiazzare le perdite, e lo stesso ha fatto la Desert King International, che anche per questo ha assicurato a Novavax una fornitura di 700 chilogrammi di saponine nel 2020, e di tre volte tanto per l’anno seguente.

Successo giapponese
È tuttavia evidente che occorrono soluzioni alternative, anche perché la coltivazione di alberi richiede grandi quantità di fertilizzanti e ancora più grandi quantità di acqua, e non è sostenibile nel lungo periodo. Alcune aziende come la statunitense Agenus stanno cercando di ottimizzare la coltivazione e la raccolta, mentre altre come la Botanical Solutions stanno moltiplicando gli sforzi per ottenere le saponine in laboratorio.

Finora è sempre stato quasi impossibile realizzare saponine di sintesi, per la complessità delle reazioni coinvolte, non tutte note. Negli ultimi mesi, però, un gruppo di chimici giapponesi, dell’Università di Osaka, ce l’ha fatta: ha capito l’importanza di un enzima fino ad allora non troppo considerato, ed è così riuscito a far produrre a un ceppo di lieviti del pane le saponine di tre tipi di liquirizia, che, a loro volta, hanno interessanti proprietà farmaceutiche (molti tipi di vegetali producono saponine, ma ognuna ha caratteritische diverse).

Il lavoro, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, ha costituito un punto di svolta, e si spera ora che i metodi illustrati dai ricercatori giapponesi possano finalmente portare alla realizzazione di una via tutta sintetica anche per le saponine utilizzate nei vaccini.

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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