La chemioterapia del futuro potrebbe essere somministrata tramite particelle nanometriche (nell’ordine, cioè, dei miliardesimi di metro), e riscaldata da campi magnetici.
Lo scopo? Aumentare notevolmente l’efficacia di questi farmaci antitumorali.
Se i chemioterapici, infatti, vengono “caricati” su minuscole particelle metalliche sensibili ai campi magnetici, e se poi questi campi vengono attivati per indurre le particelle stesse a generare calore, si raggiunge una capacità di distruggere il tumore superiore fino al 34%, rispetto ai risultati ottenuti dai farmaci senza calore aggiunto.
Così, almeno, hanno verificato i ricercatori dello University College London, che hanno pubblicato i risultati del loro lavoro sul Journal of Materials Chemistry B (una rivista scientifica della Royal Society of Chemistry).
Da diversi anni – scrivono gli studiosi – l‘ipertermia creata dalle nanoparticelle è stata considerata un approccio promettente per il trattamento del cancro, ma l’uso di questa tecnica è rimasto limitato a pochi tipi di tumore (in particolare, a tumori cerebrali come i glioblastomi a crescita rapida). Eppure – continuano i ricercatori – questo sistema ha un potenziale straordinario, che andrebbe ampliato a nuove applicazioni cliniche.
Nel caso dell’esperimento eseguito allo University College London, gli studiosi hanno utilizzato nanoparticelle di ossido di ferro e le hanno rivestite con una molecola (un polimero) sensibile al calore e anche al grado di acidità del tumore. Grazie a queste caratteristiche, e ad altre tecniche particolari, le nanoparticelle sono potute entrare nelle cellule tumorali. Quando gli oncologi hanno poi attivato il campo magnetico, le nanoparticelle hanno prodotto calore e, solo a quel punto, il rivestimento polimerico ha rilasciato un chemioterapico (che era stato inserito precedentemente dai ricercatori): la doxorubicina.
Gli studiosi hanno scoperto che basta un riscaldamento lieve: le cellule tumorali di solito muoiono a 42° centigradi (quella sane a 45°), ma è sufficiente raggiungere i 40° per iniziare a vedere il potenziamento della chemioterapia. Il metodo funziona quando le nanoparticelle raggiungono l’interno della cellula malata, ma anche (in forma più lieve) quando sono diffuse al suo esterno, obiettivo più semplice da raggiungere perché spesso i tumori sono difficili da penetrare.
Gli esperimenti sono stati eseguiti in laboratorio, con cellule di tumore della prostata, del seno e di glioblastoma. Visti i buoni risultati, si passerà a nuovi test sugli animali e poi, se gli esiti positivi verranno confermati, all’applicazione sugli uomini.
«Questo sistema – ha spiegato il professor Nguyen TK Thanh, autore principale dello studio – sembra anche in grado di ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia, permettendo di mirarla con maggiore precisione sulle cellule tumorali (e dunque risparmiando le cellule sane)».
Questo avviene, aggiungiamo noi, anche perché il rivestimento polimerico impedisce al farmaco chemioterapico di filtrare nei tessuti sani.
Tale aspetto dovrà però essere esplorato con ulteriori test pre-clinici. Conferma Olivier Sandre, dell’Università di Bordeaux, coautore della ricerca: «Il rilascio del farmaco può essere altamente localizzato nelle cellule tumorali, e il calore viene generato attraverso il campo magnetico. Per questo gli effetti collaterali vengono ridotti, almeno potenzialmente».