La Food and Drug Administration (l’ente che gestisce la regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici negli Stati Uniti) ha dato il via libera a una sperimentazione su un gruppo di volontari, che potrebbe portare a miglioramenti significativi nella diagnosi precoce della sclerosi multipla. Di cosa si tratta? I neurologi della Case Western University, a Cleveland, hanno messo a punto un nuovo marcatore per la PET (tomografia a emissione di positroni) chiamato Myeliviz che potrebbe consentire, per la prima volta con questa “macchina”, di evidenziare in modo estremamente preciso le condizioni della mielina (la guaina che protegge le fibre nervose e viene danneggiata dalla malattia) e quindi di fornire un quadro dettagliato e precoce delle eventuali lesioni. Questo studio è finanziato dai National Institutes of Health (NIH).
La sclerosi multipla, che – secondo alcune stime – colpisce 2,3 milioni di persone nel mondo, ha un’origine autoimmune: è il sistema difensivo dell’organismo, cioè, a prendere di mira per errore la mielina, appunto, “rovinando” in modo più o meno grave gli assoni delle cellule nervose (gli assoni sono i prolungamenti che conducono gli impulsi nervosi). Le lesioni si formano molto in anticipo, rispetto ai primi sintomi, ma finora nessun esame strumentale era stato in grado di metterle in evidenza così precocemente, e questo spiega perché, spesso, le diagnosi arrivino tardivamente. Inoltre attualmente la tecnica utilizzata è sempre la risonanza magnetica che, per quanto accurata, dà un’informazione solo anatomica (indica, cioè, le zone del cervello in cui non è più presente la mielina). Invece la PET, che mostra in quali punti vengono “catturate” le specifiche sostanze (traccianti) iniettate dai radiologi nel sangue del paziente, dà anche un quadro di cosa avviene nelle cellule a livello metabolico (mostra in diretta, cioè, il “comportamento” biochimico delle cellule) e, per questo, aiuta a capire quanto la funzionalità di un certo organo o tessuto sia compromessa rispetto alla norma.
Da anni si cercava inutilmente di giungere a una PET specifica, ma tutti i tentativi erano falliti proprio per l’assenza di traccianti adeguati: quello messo a punto dalla Case Western University, grazie al quale le lesioni appaiono come punti neri nell’immagine chiara della mielina sana, potrebbe finalmente offrire esiti precoci e attendibili. Se i buoni risultati dei primi test verranno confermati, diventerà possibile intervenire con le terapie farmacologiche oggi disponibili (molto più efficaci, rispetto a quelle del passato) prima che le fibre nervose subiscano troppi danni. Inoltre tutto il decorso potrebbe essere gestito meglio integrando PET e risonanza.
Infine, se il Myeliviz confermerà le sue potenzialità, potrà essere utilizzato, suggeriscono gli esperti, anche per altre patologie del sistema nervoso che colpiscono la mielina, quali gli ictus, l’epilessia, i traumi, alcuni tipi di tumore e le patologie neurodegenerative.