L’arte e la partecipazione culturale svolgono un ruolo fondamentale contro il decadimento cognitivo e favoriscono il benessere soprattutto delle persone più anziane.
Cosa accadrebbe se le attività culturali e creative entrassero nella quotidianità di ogni casa di cura?
L’inglese Baring Foundation che si occupa di inclusione sociale, parte da questo quesito e dalla tragica esperienza della pandemia. Con il report pubblicato a settembre “Every Care Home a Creative Home, a systems approach to personalised creativity and culture” raccoglie il risultato dell’esperienza capitalizzata negli ultimi dieci anni dalle organizzazioni che finanzia per agire nelle residenze per anziani.
L’invecchiamento attivo è diventato un tema di rilevanza sociale, economica, sanitaria e di sviluppo umano. Infatti, secondo le stime di OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico (2015) e OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità (2018), entro il 2050 la popolazione over 60 raddoppierà, passando da 1 a 2 miliardi di persone al mondo. In questo quadro, la partecipazione culturale, per il suo impatto positivo sui determinanti sociali, rappresenta un investimento (di denaro, di tempo e di conoscenza) strategico e vincente, sia per il benessere delle persone anziane, sia per tutti coloro che se ne occupano, carer professionali e familiari.
Partecipazione culturale: un aiuto contro la noia e la depressione
Già nel 2011 la review condotta su 31 studi scientifici dalla Mental Health Foundation (2011), dimostrava il valore delle emozioni positive provate dagli anziani durante le esperienze culturali: si sentono più connessi con la propria identità personale e riescono a costruire una identità comunitaria. Per quanto riguarda i carer, la review di studi scientifici sul ruolo della partecipazione culturale in ambito sanitario (Wilson et al., 2016) sottolinea che le attività artistiche e creative sono in grado di ridurre lo stress, migliorare l’umore e il benessere del personale, garantire migliori prestazioni lavorative, ridurre il rischio di burnout, migliorare la relazione tra paziente e personale, avere un impatto positivo sull’ambiente di lavoro.
Elementi che convergono con il rapporto 67/2019 OMS che più volte abbiamo citato su queste colonne “What is the evidence on the role of the arts in improving health and well-being? A scoping review” che riporta numerosi casi virtuosi di applicazione dell’arte e della creatività sulle persone anziane. Di fianco a numerosi “luoghi parcheggio” degli anziani, si registra in ogni paese un grande fermento di realtà che si muovono per aggiungere vita ai giorni e non solo giorni alla vita di queste persone.
La partecipazione culturale aiuta a disintossicarsi dalla noia, ridurre la depressione e la demenza, rallenta il tasso di progressione della fragilità (Fancourt et al., 2018) e migliora l’umore e le funzioni cognitive. Tali effetti positivi acquisiscono maggiore importanza se si considera l’impatto della pandemia COVID-19: infatti, svolgere attività culturali che coniughino la creatività e la relazione tra persone ha un impatto positivo anche sull’interazione sociale intragenerazionale (Van Steenwinkel et al., 2017) e intergenerazionale (Molina-Luque et al., 2022), diminuendo il senso di solitudine e di isolamento (Centre for Cultural Value, 2022).
Attività come la danza (si veda, ad esempio, il caso di Dance Well) influiscono positivamente anche sull’abilità motoria, la massa muscolare, la composizione corporea negli anziani (Cruz-Ferreira et al., 2015; Gallo et al., 2019) e contribuiscono a prevenire il declino funzionale dell’età.
20 raccomandazioni per le case di cure
Baring Foundation segnala nel proprio report alcuni interventi che le case di cura e di riposo inglesi hanno svolto con la collaborazione di organizzazioni artistiche: commedie e spettacoli teatrali, letture e incontri letterari, residenze di artisti, opera, danza, visite a luoghi culturali o esposizioni d’arte nelle case di cura, scrittura (Brown Wilson et al., 2011), arti visive e pittura in compagnia (Wikström, 2003), eventi sociali come aperitivi e feste. Un punto centrale è l’ascolto dei bisogni e i desideri di ogni singolo residente, a partire dal momento, delicato e disorientante, in cui si insedia in casa: a una prima fase di confronto deve seguire una sperimentazione, la scoperta delle possibili attività culturali e creative, seguita dall’implementazione e dal monitoraggio, sia singolarmente che in gruppo. Infine, con l’avanzamento della disabilità o della malattia, si devono prevedere maggiori attività one-to-one con l’artista, anche con la persona anziana stesa comodamente a letto.
Il rapporto si conclude con 20 raccomandazioni molto concrete e, secondo l’Ente, per disegnare contesti di benessere. Ai Governi suggerisce che le politiche diano spazio al diritto di ogni persona di fare esperienze di creatività e cultura, come parte integrante di una nuova visione di welfare che supera l’approccio assistenziale e riparativo, guarda allo sviluppo del potenziale individuale e delle comunità, in un’ottica generativa.
Alle case di cura Baring indica che l’arte e la creatività superino l’occasionalità e entrino a far parte in modo sistematico del piano di assistenza di ogni residente (Cantu et al., 2018), sottolineando la responsabilità del management nel creare connessioni con l’offerta culturale territoriale. Un nodo è la formazione del personale sanitario che, anche per la salvaguardia del proprio benessere, dovrebbe essere incoraggiato in questa direzione. Agli artisti e alle organizzazioni culturali Baring raccomanda proattività nell’instaurare collaborazioni, previa una necessaria formazione nella relazione con le persone residenti, una co-progettazione con il mondo sanitario per la realizzazione di azioni di qualità, impatto, replicabilità. Baring si rivolge agli investitori sociali, con una vera e propria call to action, affinchè rendano possibili azioni sistematiche e sistemiche, con linee di finanziamento.
Il crescendo delle buone pratiche dedicate alla diffusione della partecipazione culturale in età avanzata, all’alleanza nei percorsi di riabilitazione e pristino delle potenzialità, il riconoscimento del diritto alle emozioni, alla bellezza, alla gentilezza è un segnale fortemente positivo che tocca la dignità della persona. La prima causa di profondo malessere per ogni individuo è la rottura delle reti di relazione. L’arte può attivare i processi espressivi, come efficace cura non farmacologica per contrastare il decadimento cognitivo e i disturbi psicologici derivanti da cambiamenti importanti come il lutto o il trasferimento in una residenza assistita. Per le relazioni con sé e con gli altri.
Le residenze per anziani sono luoghi della vita e come tali vanno concepite. Lo saranno sempre di più pensando all’invecchiamento della popolazione. Le abbiamo rese asettiche, medicalizzate, parcheggi in attesa della fine dei giorni, private da ciò che appartenenza al mondo, al suo disordine, caotico, ma anche energetico e relazionale. Sono contesti patogenici che deprimono chi li vive, anche i carer. Oggi lo comprendiamo e abbiamo evidenze su come il rapporto con gli animali, il verde, l’arte, le persone muova le risorse interiori di benessere, dia senso all’esistere. Non consideriamo che tutto ciò sia terapia: pet teraphy, green theraphy. Concepiamole come contesti salutogenici, come parte del mondo e non una parte del mondo. Non un ghetto”. Un invito che è un programma ci arriva da chi vive questa dimensione a Bergamo, che con Brescia sarà la prossima capitale della cultura italiana. È la voce di Serena Marossi, teacher Dance Well-danza inclusiva per le persone con parkinson. Ascoltiamola.
A cura di Catterina Seia e Elena Baldo
Elena Baldo, neo laureata, CCW School