Occhi puntati sugli sfingolipidi, molecole che sembrano avere un ruolo importante in questa malattia. Se gli studi verranno confermati, si apriranno le porte per nuovi farmaci più efficaci.
I ricercatori del Politecnico federale di Losanna e dell’Università di Helsinki, insieme ad altri colleghi nordeuropei, hanno individuato uno dei possibili “motori” della distrofia muscolare, una patologia degenerativa di origine genetica che porta alla perdita progressiva della massa muscolare, quindi alla disabilità e – nei casi più gravi – anche alla morte. In particolare, gli studiosi hanno dimostrato che una famiglia di acidi grassi normalmente prodotti dall’organismo, gli sfingolipidi, già coinvolti nella trasmissione dei segnali nervosi e in molte altre funzioni, gioca un ruolo di primaria importanza nella distrofia, ed è quindi, con ogni probabilità, un bersaglio molto interessante dal punto di vista terapeutico.
La speranza è che in un arco temporale non troppo lungo possano arrivare farmaci più specifici ed efficaci rispetto a quelli disponibili oggi, che non riescono a fermare la malattia ma solo a rallentarne la progressione e a migliorare in parte la qualità di vita dei pazienti.
I ricercatori, in verità, hanno già individuato e provato sugli animali da laboratorio un possibile farmaco contro gli sfingolipidi – la miriocina (una molecola di origine naturale estratta dai funghi) – con risultati che appaiono buoni. Altri studi dovranno però confermare questi effetti positivi, anche sugli uomini, naturalmente.
Le fasi dello studio
Ma andiamo con ordine. I ricercatori hanno notato, negli animali da laboratorio malati di distrofia muscolare, una serie di anomalie legate agli sfingolipidi: in particolare, una concentrazione aumentata, rispetto alla norma, di sostanze intermedie che poi portano, appunto, alla sintesi degli sfingolipidi.
Come riferisce la rivista Science Advances, gli studiosi hanno allora pensato di “testare” la miriocina, già utilizzata per curare alcune malattie rare, e si sono resi conto che era in grado di bloccare una delle sostanze fondamentali per la sintesi degli sfingolipidi (un enzima). Disattivando questo enzima, e quindi frenando la produzione degli sfingolipidi, si è bloccata anche la perdita di tessuto muscolare (tipica della distrofia muscolare), e nello stesso tempo si è stabilizzato il metabolismo del calcio. In più, si è attenuato lo stato infiammatorio delle fibre muscolari, e le cellule del sistema immunitario (i macrofagi) che lo provocano sono tornate a uno stato di quiescenza.
Dunque – hanno dimostrato i ricercatori (almeno negli animali) – la catena di eventi che porta alla sintesi degli sfingolipidi è sicuramente coinvolta nelle distrofie e, di conseguenza, offre numerosi possibili bersagli. La miriocina, come dicevamo, è già disponibile, e si è dimostrata molto potente, più dei cortisonici utilizzati finora per curare i pazienti. Ma anche altre molecole potranno essere studiate.
Una famiglia di patologie
È opportuno ricordare che con il termine distrofia muscolare si intende in realtà un insieme di malattie, tutte accomunate da mutazioni in un gene specifico: quello che porta alla “produzione” di una proteina chiamata distrofina. Questa molecola agisce da ancoraggio tra due componenti delle cellule muscolari: il citoscheletro (cioè la rete di filamenti e tubuli che si estendono nel citoplasma, la parte “liquida” delle cellule) e la membrana che avvolge le fibre del tessuto muscolare. Quando la distrofina non funziona a dovere, tutta la cellula ne risente profondamente, perché la sua struttura viene compromessa, come pure il metabolismo del calcio. Il risultato è che si instaura un’infiammazione cronica, e si verifica una riorganizzazione anche morfologica, mentre si formano cicatrici e fibrosi in vari organi.