Un’équipe di ricercatori canadesi ha portato nuova luce sulla Sclerosi laterale amiotrofica, patologia che provoca una paralisi progressiva dei muscoli ed è attualmente priva di cure efficaci. Speranze per nuovi farmaci.
Nell’affollata serie di studi che, finalmente, stanno consentendo di ottenere qualche risultato (sia pure ancora piccolo, per il momento) nella gestione terapeutica di una malattia molto difficile e dura come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA, nota anche come morbo di Lou Gehrig), va segnalata l’individuazione di alcuni “meccanismi” alterati che portano un gene, chiamato C9orf72, ad avere un ruolo importante nell’insorgenza di questa patologia.
E, come si sa, chiarire nel dettaglio le cause genetiche di una malattia può aiutare poi a trovare anche un rimedio.
Lo studio, finanziato dalla ALS Society of Canada e da altre fondazioni del Paese nordamericano, è stato condotto dai ricercatori dell’Institut national de la recherche scientifique (INRS) e pubblicato sulla rivista Communications Biology (gruppo Nature).
La SLA, lo ricordiamo, è una malattia neurodegenerativa causata dalla progressiva distruzione dei motoneuroni del cervello e del midollo spinale (le cellule nervose che governano la muscolatura).
Nel corso degli anni, la SLA provoca la paralisi dei muscoli volontari, fino a coinvolgere anche quelli respiratori.
Non esistono finora farmaci efficaci per curare questa patologia, ma è pur vero che la Ricerca si sta muovendo in modo intenso e che la sopravvivenza media negli ultimi anni è aumentata, grazie anche a una migliore gestione clinica dei pazienti e all’uso di supporti tecnologici sempre più avanzati.
Manca, però, come dicevamo, una vera terapia, anche se segnali incoraggianti sono arrivati nei mesi scorsi dallo studio “CENTAUR”, pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ha messo in luce la capacità di rallentare la malattia da parte di due molecole “associate”, il fenilbutirrato di sodio e il taurursodiol.
I dettagli della scoperta
Ma torniamo allo studio appena pubblicato dalla rivista Communications Biology.
Lavorando su modelli animali (pesciolini zebra geneticamente modificati), i ricercatori canadesi dell’INRS hanno dimostrato che una particolare mutazione nel gene C9orf72 (indicato già da tempo come possibile “protagonista” della SLA) è effettivamente collegata ai danni tipici della malattia; gli studiosi sono anche riusciti a descrivere con precisione i modi in cui questa mutazione interferisce con la normale trasmissione degli impulsi nervosi ai muscoli.
I problemi - hanno scoperto i ricercatori - sono provocati da un’anomala successione delle basi azotate (i “mattoni” del DNA) all’interno del gene C9orf72: più in dettaglio, molte persone con la SLA presentano una moltiplicazione estrema (mille volte, al posto delle normali 20) di una sequenza indicata con la sigla GGGGCC (G è la sigla di guanina e C quella di citosina, due delle basi azotate del DNA. Le altre due sono adenina e timina).
È questo disordine genetico, sostengono i ricercatori, a modificare l’attività del gene C9orf72, provocando una perdita di funzione (come si dice in gergo) e influenzando negativamente la comunicazione fra i motoneuroni e i muscoli. La mutazione è presente nel 40-50% delle persone che hanno una forma ereditaria di SLA, e nel 5-10% di quelle che hanno una forma non familiare della malattia.
Le mutazioni del gene C9orf72 sono anche coinvolte nella demenza frontotemporale (FTD): una forma di demenza diversa dalla malattia di Alzheimer, che colpisce circa il 15% dei malati di SLA.
Conseguenze anche su un altro gene
Secondo i ricercatori, inoltre, l’alterazione del gene C9orf72 si ripercuote anche su un altro gene, chiamato TDP-43 (transactive response DNA-binding protein 43), cruciale per la corretta replicazione del DNA.
Di solito questo secondo gene codifica per una proteina che resta nel nucleo, dove svolge la sua funzione nel momento della replica-zione del DNA, ma nel 97% dei pazienti si localizza al di fuori del nucleo, nel citoplasma, dove forma aggregati dal significato ancora oscuro, i cui effetti saranno oggetto dei prossimi studi.
Aver decrittato un passaggio così importante e così rappresentato in una malattia che, finora, racchiude ancora molti misteri, potrebbe consentire di fare finalmente significativi passi in avanti nella diagnosi precoce (attraverso il controllo della presenza dei geni mutati) e nella terapia (con la correzione dell’esito delle mutazioni).