Sono quasi cento i casi di spillback documentati negli ultimi vent’anni. Si tratta di un passaggio in cui agenti patogeni umani, mutando, sono riusciti a colpire anche altre specie. Lo rivela un “censimento” eseguito dalla Georgetown University (USA).
Si chiama spillback, ed è la versione “speculare” del passaggio di agenti patogeni tra animali selvatici ed esseri umani, l’ormai noto spillover. Lo spillback è, al contrario, la trasmissione di virus, batteri o parassiti dagli esseri umani agli animali.
A volte si tratta addirittura di un secondo passaggio, cioè di un microrganismo trasmesso inizialmente all’uomo da un animale selvatico in seguito a una serie di mutazioni genetiche, e poi ritrasmesso dall’uomo a qualche altra specie. Questo “doppio salto” è stato documentato, ad esempio, per SARS-CoV-2 (il virus che provoca il Covid), trasferito dai pipistrelli, probabilmente, agli esseri umani, ma poi dagli esseri umani agli animali domestici, ai visoni, ai grandi felini degli zoo e agli animali da laboratorio.
A volte, invece, si tratta di una prima infezione, cioè di virus o batteri che normalmente infettano l’uomo e che riescono poi ad arrivare anche ad altre specie in vari modi.
Il fenomeno è ancora relativamente poco conosciuto, ma sarebbe urgente approfondirne ogni aspetto per diversi motivi. Soprattutto è da tenere in considerazione il fatto che gli animali contagiati dagli esseri umani possono diventare una sorta di serbatoio per i patogeni più pericolosi, e perpetuarne poi una successiva diffusione tra gli esseri umani stessi, anche quando altri strumenti come una vaccinazione o la disponibilità di farmaci la frenano.
Variante omicron: potrebbe esser stato uno Spillback?
Ma non basta: è possibile e anzi spesso probabile – sostengono gli esperti – che, mentre resta in una specie animale infettata dagli uomini, un patogeno possa anche mutare e diventare più capace di diffondersi. Quest’ipotesi è stata avanzata per spiegare l’emergenza della variante omicron del coronavirus, molto diversa dalle precedenti.
Per la verità, nel caso della variante omicron esistono anche altre possibili teorie, che non hanno nulla a che vedere con gli animali: secondo alcuni ricercatori, per esempio, il virus sarebbe mutato all’interno dell’organismo di persone immunodepresse. Secondo altri studiosi invece, il virus si è modificato in Paesi dove non c’è tracciamento, accumulando mutazioni per mesi prima di diffondersi ed essere scoperto.
Analizzati i dati degli ultimi vent’anni
Per capire meglio a che punto siano le conoscenze su questi temi, un gruppo di ricercatori della Georgetown University (Stati Uniti) aderenti alla Viral Emergence Research Initiative – un progetto sponsorizzato dalla National Science Foundation americana – ha analizzato la letteratura scientifica degli ultimi vent’anni circa, scoprendo un tasso sorprendentemente alto di spillback: sono poco meno di cento quelli documentati con certezza.
Le vie di trasmissione possono essere varie, ma ciò che emerge dallo studio americano è che in poco meno di un caso su due il passaggio è avvenuto in situazioni di cattività, quali gli zoo o gli ambulatori dei veterinari, dove gli animali vengono osservati da vicino e dove è quindi possibile che un operatore trasmetta germi.
Lo spillback si è verificato più facilmente con i primati, probabilmente perchéé questi animali hanno un organismo più simile al nostro, e perchéé in molti Paesi sono protetti e studiati da vicino per migliorarne le condizioni di conservazione.
Studi con l’intelligenza artificiale
Come viene sottolineato dalla rivista scientifica Ecological Letters, la ricerca dispone oggi di uno strumento che può fare la differenza aiutando a sistematizzare dati raccolti nelle più diverse aree del mondo, relativi a migliaia di patogeni, in centinaia di specie animali includendo anche le indagini genetiche: è l’intelligenza artificiale. Si tratta dell’unico mezzo in grado di elaborare milioni di elementi di sistemi così complessi in un quadro quantomeno probabilistico, in quella che viene chiamata scienza del network ospite-virus. Se adeguatamente trattati, i dati possono infatti aiutare a predire spillback e spillover.
Per gli spillback, in particolare, l’intelligenza artificiale permette di capire quali sono le specie animali più a rischio, in base al loro codice genetico e all’organizzazione del sistema immunitario, e questo, a sua volta, consente (teoricamente) di predisporre contromisure adeguate e monitoraggi attenti per prevenire epidemie e pandemie.
Ciò che è avvenuto negli ultimi mesi per SARS-CoV-2, con centinaia di studi di tutti i tipi, costituisce una massa critica di conoscenza sufficiente per elaborare previsioni: bisognerebbe puntare a qualcosa del genere anche per gli altri patogeni, e per gli animali più a rischio - concludono i ricercatori.