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Paolo Rossi Castelli20 mar 20202 min read

Staminali coltivate nello spazio per cure su misura | Fondazione IBSA

Lo scorso 6 marzo, alle 23.50, dalla base di Cape Canaveral, in Florida, è partito un carico di rifornimento per la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), in orbita intorno alla Terra. A bordo c’erano anche 250 provette dell’Università di Zurigo, contenenti cellule umane staminali adulte, che dovrebbero evolvere in cellule di osso, cartilagine e altri organi durante il mese nel quale resteranno all’interno della ISS.

L’idea di fondo dei ricercatori dello UZH Space Hub è infatti che le staminali, trovandosi in condizioni di bassissima gravità, possano svilupparsi spontaneamente, senza bisogno delle “impalcature” di supporto necessarie sulla Terra, seguendo una morfologia tridimensionale, fino a formare tessuti potenzialmente utili per i trapianti e per la medicina di precisione, ma anche per aiutare a ridurre la sperimentazione sugli animali.

I test si svolgeranno dentro una particolare attrezzatura chiamata CubeLab, ideata dall’azienda statunitense Space Tango, che consiste in un sistema chiuso (è una specie di scatola cubica) e sterile nel quale le cellule possono crescere e svilupparsi alle giuste condizioni di temperatura e umidità. Da parte sua, il consorzio Airbus ha fornito un’innovativa tecnica di stampa in 3D chiamata Selective Laser Sintering (SSL), e altri elementi necessari per avviare il progetto.

Se questi tentativi avranno successo, nelle prossime missioni si cercherà di passare gradualmente da un piccolo laboratorio a una scala di produzione più ampia, per generare abbondanti porzioni di tessuto da destinare ai trapianti di cartilagine, o per produrre porzioni di fegato di singoli malati, o per altre applicazioni ancora, riducendo al minimo i rischi di rigetto.

Inoltre, i tessuti di uno specifico paziente ricreati nello spazio potranno diventare, in futuro, un prezioso “campo di prova” per capire se le terapie più complesse, soprattutto in ambito oncologico, saranno davvero utili e attive su quel malato. Insomma, si potrà programmare una cura realmente personalizzata, e con elevate probabilità di successo (evitando di somministrare, invece, le terapie che si riveleranno inefficaci già in partenza).

Nei prossimi anni la coltura di tessuti biologici, secondo diversi osservatori, potrebbe diventare pratica comune per l’ISS e non solo, sia per scopi di ricerca che per finalità commerciali. Contrariamente a quanto si pensa – dicono i ricercatori zurighesi – il trasporto nello spazio non ha più i costi elevatissimi di un tempo.«Tra qualche decennio – prevede Il professor Oliver Ullrich, direttore dello UZH Space Hub – potremo utilizzare l’orbita terrestre bassa (quella in cui si trova l’ISS) come luogo di routine per la ricerca, lo sviluppo e la produzione».

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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