Esperimento d’avanguardia all’Università di Oxford. Cellule staminali indotte a differenziarsi in cellule nervose, e poi inserite in una particolare stampante, hanno “prodotto” un tessuto capace di sostituire, in laboratorio, quello danneggiato.
Ogni anno nel mondo 70 milioni di persone sono vittime di traumi cranici, a causa di incidenti stradali, sportivi, lavorativi e di altri tipo e, tra questi, 5 milioni non sopravvivono. Ma anche chi ce la fa, così come, per esempio, chi deve subire un intervento chirurgico al cervello, o chi ha avuto un ictus, deve fare i conti a volte con una serie di danni cerebrali in zone più o meno estese, e con l’assenza di terapie efficaci per rigenerare le aree lesionate.
Ora, però, una speranza arriva dai ricercatori dell’Università di Oxford, in Gran Bretagna, che hanno trovato il modo di creare, tramite particolari stampanti 3D, una sorta di tessuto biologico costituito da cellule staminali, che può dare luogo a frammenti di tessuto nervoso da utilizzare proprio in questi casi.
Per entrare più nel dettaglio, gli studiosi britannici sono partiti da cellule staminali umane, pluripotenti indifferenziate (in inglese, human induced pluripotent stem cells, o hiPSCs), che sono state messe in coltura perché evolvessero in due diversi tipi di cellule della corteccia cerebrale, grazie a miscele di fattori di crescita e di sostanze chimiche, in grado di indirizzarne il differenziamento. Goccioline contenenti ciascuna di queste tipologie di cellule sono state poi inserite dagli studiosi nelle camere di una stampante 3D che ha “prodotto” un tessuto composto da due strati di cellule.
Il tessuto ottenuto in questo modo è rimasto integro per due settimane, a conferma della validità della sua architettura strutturale.
Ma - come riferisce la rivista scientifica Nature Communications - i ricercatori di Oxford sono andati anche oltre e hanno provato, in laboratorio, a trapiantare il tessuto (umano) ottenuto con la stampante 3D in sottili fette di cervello estratte da un topo, dove era stata creata una lesione. Gli studiosi hanno così dimostrato che il tessuto 3D era in grado di integrarsi facilmente, formando connessioni e ramificazioni con il tessuto cerebrale del topo, migrando all’interno e dando luogo perfino a un’attività elettrica, a riprova del fatto che il trapianto aveva attecchito. Inoltre, le cellule umane presenti nel tessuto 3D e quelle di topo hanno stabilito connessioni e si sono scambiate messaggi chimici ed elettrici, altro fatto incoraggiante, dal punto di vista della sperimentazione.
Studi anche sui farmaci
Gli studi ora proseguono per trovare il modo di impiantare il tessuto 3D in un “ambiente” umano (e non più di topo). Sarà necessaria una lunga serie di altri test, ma la mèta non sembra impossibile. Un sistema come questo, fra l’altro, potrebbe essere utilissimo per studiare meglio l’attività del cervello, la risposta ai traumi e l’azione di farmaci specifici. «Questo progresso - ha dichiarato Yongcheng Jin, primo autore dello studio - segna un passo significativo verso la fabbricazione di materiali con la struttura e la funzione completa dei tessuti cerebrali naturali. Nuove ricerche forniranno un’opportunità unica per esplorare il funzionamento della corteccia umana e, a lungo termine, offriranno speranza alle persone che subiscono lesioni cerebrali».