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Paolo Rossi Castelli05 set 20182 min read

"Tessuto" nervoso super-sottile per curare l'occhio

Nuove speranze per la cura di gravi patologie dell’occhio arrivano da un nuovo tipo di retina artificiale, realizzato dai ricercatori del Dipartimento di ingegneria aerospaziale e ingegneria meccanica dell’Università del Texas, sede di Austin (la retina, lo ricordiamo, è il delicatissimo tessuto nervoso che riveste la parte interna dell’occhio e trasforma i raggi luminosi in segnali elettrici, convogliati poi al cervello tramite il nervo ottico). Come hanno spiegato nei giorni scorsi a Boston (Stati Uniti) i ricercatori texani, durante il congresso dell’American Chemical Society, il nuovo prototipo di retina artificiale è composto da sottilissimi strati di grafene, uniti a un sale chiamato disolfuro di molibdeno. Nella “miscela” gli ingegneri hanno inserito anche oro, alluminio e altre sostanze, per creare una matrice molto flessibile di sensori, capace di elaborare le immagini ricevute e di inviare le informazioni al cervello.

Il nuovo materiale è in grado di assumere una forma poliedrica (come quella di una figura a 12 facce o, se si preferisce, come quella di un pallone da calcio), e appare molto più elastico rispetto ad altri tipi di retina artificiale realizzati in passato: per questo si adatta meglio all’anatomia interna dell’occhio. Finora, invece, erano stati “costruiti” nel mondo prototipi quasi sempre di silicio, con una struttura relativamente rigida che rendeva difficile replicare la naturale curvatura della retina (e questo, oltre a creare difficoltà al momento di impiantare il dispositivo all’interno dell’occhio, “produceva” anche immagini sfuocate o distorte). Altri tentativi, in verità, sono stati fatti anche con matrici organiche, dunque simili alla struttura dei tessuti biologici (come ha riferito l’anno scorso la rivista Nature Materials). Tutti, in ogni caso, dovranno essere perfezionati.

La via scelta dagli studiosi dell’Università del Texas è ancora diversa e ha permesso di ottenere buoni risultati dai test in vitro e sugli animali: con l’ausilio di registrazioni dell’attività cerebrale, i ricercatori hanno infatti potuto misurare l’attivazione delle “giuste” aree della corteccia visiva del cervello in seguito alla stimolazione visiva. «Sebbene la nostra ricerca sia ancora ai primi passi – ha detto Nanshu Lu, docente all’Università del Texas – rappresenta un punto di partenza significativo per l’uso di questi materiali al fine di ripristinare la visione». Se i buoni risultati dovessero essere confermati, si aprirebbe una nuova via per la cura, in futuro, di malattie come la retinite pigmentosa, la retinopatia diabetica, le maculopatie, i traumi e altri problemi, oggi di fatto scarsamente curabili.

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Paolo Rossi Castelli

Giornalista dal 1983, Paolo si occupa da anni di divulgazione scientifica, soprattutto nel campo della medicina e della biologia. È l'ideatore dello Sportello Cancro, il sito creato da corriere.it sull'oncologia in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. Ha collaborato per diversi anni con le pagine della Scienza del Corriere della Sera. È fondatore e direttore di PRC-Comunicare la scienza.

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